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MONARCH TRAIL Wither down PerpetualTree Music 2021 CAN

Se c’è una cosa che non passerà mai di moda nel mondo del prog sono le band cloni degli Yes. Azzarderei ad affermare che il fenomeno possa assurgere al rango di sottogenere specifico, con tanto di una propria storia, una discografia e la paradossale situazione delle “divinità fondatrici” secondo molti ormai paragonabili ai loro epigoni in quanto cloni di sé stessi. È un’esagerazione, ovviamente, ma è sorprendente quanto i semi piantati da Jon Anderson e soci continuino a spargere i loro geni in maniera così spudorata in tante band moderne, sino a creare dei veri e propri cliché. Pensiamo proprio alle molteplici versioni della voce di Jon Anderson, riproposta in un’ennesima variante anche in questo album dei canadesi Monarch Trail.
Fortunatamente “Whiter down” va oltre la pura clonazione, cercando di distaccarsi dallo Yes-sound almeno il minimo indispensabile. Ascoltando la traccia iniziale, che dàanche il titolo al disco, i riferimenti appaiono immediatamente quelli ben conosciuti del progressive rock sinfonico degli anni ’70 e, inevitabilmente, la musica ci riporta alla mente i Genesis, oltre che gli Yes. Le composizioni sono abbastanza articolate, basate su suoni e arrangiamenti collaudati, tutti accuratamente selezionati ed eseguiti. Ci sono le parti più calme e quelle più ritmate, ci sono i tempi dispari, c’è il mellotron, c’è il Minimoog, c’è il basso dal suono penetrante e le tracce sono mediamente di lunghezza elevata (tre brani superano i dieci minuti, gli altri tre non scendono oltre i sei). Le composizioni sono di buona fattura e Ken Baird, tastierista, cantante e autore dei brani, si destreggia bene nel creare musica dalla forte componente emotiva e con un notevole senso melodico. Mi piace l’amalgama che i musicisti sono riusciti a creare, con le parti di chitarra che si inseriscono bene nelle trame dei synth. Ken Baird ha un evidentemente apprezzamento per le string machine e per il piano acustico, e tutto ha un generale senso di ariosità e leggerezza che rende piacevole l’ascolto con la sola eccezione dei quindici minuti di “Megalopolitana”, che ho trovato in alcune sezioni un po’ forzata e pesante rispetto al resto.
C’è da chiedersi cosa si possa trovare di interessante nel 2022 in un disco che non offre nulla di nuovo, non ha guizzi di creatività particolari e che non fa altro che proporre formule musicali fin troppo collaudate. Non sono certo di avere una risposta, credo solo che i Monarch Trail suonino quello che gli piace sforzandosi di farlo bene. In fin dei conti, questo può essere sufficiente.



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Nicola Sulas

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