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DAI KAHT II Soleil Zeuhl 2022 FIN

La nascita di questo gruppo finlandese risale a quando il compositore, bassista e cantante Atte Kemppainen ascoltò un medley dei giapponesi Ruins. In seguito a questa scoperta si appassionò ai Magma e formò i Dai Kaht nel 2013. Per il disco d’esordio del 2017 aveva inventato una nuova lingua, molto simile al kobaiano all’orecchio, denominata “koloniel”. A completare questa stravagante organizzazione, sicuramente debitrice di quanto già fatto da Christian Vander e soci, Atte e i musicisti che lo accompagnano in questa avventura, rielaborano i loro nomi e si presentano oggi come Alemaahr Kampah, Willargh Shirow, Kaszpar Gorkeulhzennh, Ozamo Sharif e Zwerie Slobah. Il 2020 vede la pubblicazione da parte della Soleil Zeuhl di “II” e, ovviamente, si tratta di un universo musicale che presenta innumerevoli legami a Magma e derivati.
Già l’incipit è tutto un programma: “Hanshin”, infatti, è una chiara riproposizione di quanto facevano i Magma tra fine anni ’70 e inizio ’80, con quel sound poi definito Tamla zeuhl, in cui le sonorità rocciose degli anni precedenti erano edulcorate da rimandi al funky e al soul afroamericano. Basso e batteria ricamano sempre ritmi potenti e nel mix sono messi in bella evidenza, mentre le parti vocali risultano, se vogliamo, ancora più onomatopeiche rispetto al linguaggio kobaiano. A seguire, “Dai koronenn”, che presenta in una prima parte un jazz-rock tecnico, in cui la band mostra anche una certa personalità, mentre nella seconda siamo più su uno zeuhl classico. Le sonorità che continuano a spingere in direzione della creatura di Vander si avvertono con “Helvet Sttroi II”, che però vira verso territori più duri, tra le asperità di “Stoah” e un indirizzo heavy dettato dal sound abrasivo della chitarra. E si prosegue su questa falsariga, con una serie di composizioni, che possono rievocare questo o quell’altro periodo dei Magma e che di tanto in tanto si “giapponesizzano”. Ci può essere il brano che parte lento e che poi accelera e va in crescendo (“Willargh”), quelli più lunghi, nei quali, tra innumerevoli variazioni che vanno dal marziale all’atmosferico, si fa strada una musica tosta e dai risvolti metal, con ritmi speditissimi (“Zobehr-Dai”, “Wehr Mahru”), quello apparentemente più “normale”, per via di un inizio con momenti cantati in inglese e che poi devia su coordinate tipiche della trilogia “Theusz Hamtaak” (“Moa Orgata”), fino ad arrivare alla conclusione con “Hertz Komatt”, che riprende il Tamla zeuhl iniziale irrobustendolo un po’.
Sì, inutile dilungarsi troppo, avrete già capito che è uno di quei dischi destinati quasi esclusivamente a chi segue anima e corpo la musica zeuhl. Per chi ama questo filone e le sue deviazioni nipponiche i risultati raggiunti dai Dai Kaht sono abbastanza buoni.



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Peppe Di Spirito

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