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UJIG Ujigami Luminol Records 2021 ITA

La fusion ed il jazz sono stati il punto di partenza (o di arrivo) per parecchi musicisti e compositori che nel corso dei decenni hanno creato la propria versione di “progressive” realizzando capolavori, dischi di culto, ottimi album e, ovviamente, lavori mediocri e pessimi. E lo stesso vale per la musica sinfonica, per il, blues, per l’elettronica, per il folk ed il rock in senso stretto. Tutto finalizzato, grazie al talento, alla fantasia e alla voglia di sperimentare, a creare qualcosa di nuovo che conduce solo e sempre al “progressive”. È vero che questo spirito di ricerca in parte è svanito nel corso degli anni, mutato in manierismo, in ripetizione ed in ovvietà, ma è altrettanto vero che c’è ancora qualcuno che prova a passare da A a B senza andare in linea retta e magari facendo una deviazione per C e D.
Forse la metafora è un tantino stiracchiata, ma mi sembrava si adattasse a questo lavoro degli Ujig, che nella loro biografia precisano di aver iniziato come band dopo aver seguito seminari jazz e che il proprio esordio di qualche anno fa è un disco di jazz sperimentale. E in effetti bastano poche note per capire che la via per arrivare al prog degli Ujig è questa.
“Ujigami” per il sottoscritto appartiene alla parte che tende all’ottimo dell’elenco fatto qualche riga sopra. Completamente strumentale, il disco esplora le possibilità e le conoscenze che i componenti del gruppo hanno della materia jazzistica, con l’evidente obbiettivo di creare una musica accessibile e allo stesso tempo complessa. L’accessibilità va individuata senz’altro nella ricerca della melodia e nell’inserimento di parti ispirate a generi come il blues, il funk ed il rock. La complessità si trova principalmente nell’esecuzione e nelle parti dove i musicisti si ritagliano spazi solisti facendo sfoggio di tecnica. Esempi di questa dualità si trovano in “Odota”,con la sua struttura abbastanza essenziale e in qualche modo minimalista e con il suo mood agrodolce e rilassante, e in “Pokemon shock”, dove le chitarre elettriche hanno modo di sfogarsi.
In due tracce le parti orchestrali (registrate dalla Bow Tie Orchestra, ensemble di Mosca specializzato in registrazioni a distanza) caratterizzano molto bene le atmosfere che vogliono creare gli Ujig, soprattutto nella bellissima “Pohjoinen”, dove in effetti l’orchestra è la protagonista quasi assoluta, mentre in “Tano” appare come ospite alla tromba Fabrizio Bosso a duettare con la chitarra. Molto bella anche “Mea e Pau”, dove convivono tutte le anime degli Ujig, quella rock, quella jazz e fusion, quella mediterranea, quella virtuosa e quella progressiva. Da segnalare, infine, la masterizzazione presso gli Abbey Road Studios, ormai alla portata, grazie alle tecnologie moderne, di chi ha la possibilità di investire per ottenere una resa finale di qualità.



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Nicola Sulas

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