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WIRED WAYS |
Wired ways |
Waterfall Records |
2022 |
GER |
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Quello preso stavolta in esame è un collettivo che si è sviluppato – stando alle indicazioni dei diretti interessati – tra Berlino ed Amburgo. Vero e proprio studio-project concepito dal polistrumentista Richard Schaeffer e dal chitarrista/produttore Dennis Rux, a loro si sono affiancati i cantanti Jean-Michael Brinksmeier e Daniel Albertus Brouns, oltre al batterista Lucas Zacharias. Alla fine, risultano coinvolti almeno quaranta (!) musicisti in quelle che sono nove tracce contenute in questo esordio e nominarli tutti risulterebbe decisamente tedioso. Diciamo che i nostri hanno voluto ricreare in tutto e per tutto le sonorità di fine anni ’60, arrivando in maniera tirata ai primissimi del decennio successivo. Un pop-rock che sapeva quindi di freschezza ed ingenuità, smussando in questo caso le parti più infantili tramite una buona produzione ed echi marcatamente psichedelici. Le parti ritmiche sono ben sostenute e a volte pure un po’ più complesse; tutto questo potrebbe in parte giustificare l’inserimento del progetto nell’ambito del prog-rock, magari nelle vaghe tracce che – col senno del poi – all’epoca si sarebbero dimostrate come preludio del fenomeno imminente. Difatti, “Ticket Tally Man” apre l’album con l’allegria e la spensieratezza tipica dei Beatles, ricordando anche i Big Star, facendo immediatamente capire quali fossero i riferimenti che alla fine dei seventies ispirarono i Boston nei loro primi due album. Il pezzo potrebbe essere uscito proprio dalla penna della band americana, facendo pensare ad un ipotetico periodo in cui ancora non aveva raggiunto una connotazione autonoma ed in buona parte rimaneva ancorata stilisticamente alle band di cui sopra, pur avendo già una discreta impostazione. “Peacock On The Highway” viene introdotta da una voce tipo quella del Central Scrutinizer di “Joe’s garage” (Frank Zappa), lasciando il passo alla psichedelia esotica anni ’60, proseguendo poi con gli olandesi Shocking Blue e passando nel finale a cori vari. “Lazy Daisy” è invece una ballata, di quelle a cui è debitore anche Robin Williams; a un certo punto vi è l’inserimento di voci e strumenti vagamente dissonanti, per poi cambiare di colpo in momenti molto più briosi, confluendo in un breve assolo “para-floydiano”, che risulterà essere anche l’unico da intendere in quanto tale sull’intero lavoro. Un treno e relative voci al suo interno danno il via a “Hànôi Trainway”, il tutto seguito da suoni dell’estremo oriente come da titolo, poi contrastati in maniera efficace da uno stile vocale molto essenziale come potrebbe esserlo quello di Sting. “Mosquito” presenta dal canto suo atmosfera e tonalità, sia musicali che vocali, da solenne film western ambientato nel profondo Sud, con voce profonda e drammatica, accompagnata da musicalità perfettamente in tono, denotando qualche debito evidente alla tradizione ispanica più melodrammatica. Da evidenziare l’inserimento ad effetto del flauto, molto rutilante. Il lavoro però comincia un po’ a stancare e “Perpetuum Mobile” sembra una versione moderna di Roy Orbison. Ma poi cominciano i sei minuti di “When The Doors Are Closed”, probabilmente la canzone più bella; rock psichedelico tipico del periodo, a tratti misticheggiante, in altri momenti suonato a ritmo più sostenuto, le cui soluzioni sono state ampiamente sfruttate sia in chiave pop commerciale dal succitato Robin Williams che da una compagine prog-rock come gli svedesi Moon Safari, capaci di mischiare le loro complesse partiture con melodie orecchiabili. Qui, comunque, viene anche acuito l’aspetto da musical. La conclusione sarebbe potuta arrivare tranquillamente con “Another Sad Man”, invece si è voluto allungare il brodo con “Planet 9” (il fantomatico pianeta misterioso, di cui gli astronomi sono tutt’oggi a caccia), ancora tra Shocking Blue e forse anche i Kinks, con aggiunte di tastierina psichedelica e coretti di allucinata allegria. Nonostante il numero di musicisti coinvolto, vi è il preciso intento di fa suonare il progetto anche dal vivo, come del resto è già accaduto durante l’estate 2022 al concerto “Night of the Prog”, in cui sono salite sul palco vecchie glorie del settore come Steve Hackett, Colosseum e Renaissance. Ad oggi, per quanto ben assemblato, quanto realizzato appare come un revival di vecchie sonorità che comunque suonano ancora attuali. Un’operazione per nostalgici? Mah, diciamo che quest’ultimi avranno già recuperato gli originali del periodo, quindi – probabilmente – i Wired Ways attireranno maggiormente coloro i quali si stanno avvicinando adesso alla Musica dei bei tempi che furono, rimanendone affascinati. Si rimane in attesa di capire cosa possa riservare il futuro. Molto bella la copertina ad opera di Frank Grabowski.
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Michele Merenda
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