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ART DÉCO Turhat Tarinat autoprod. 2023 FIN

A ben dieci anni dal loro debutto discografico intitolato "Syvään Uneen", e cioè “sonno profondo”, gli Art Déco si risvegliano (è proprio il caso di dirlo) e si dedicano questa volta alle “Storie Inutili”, questo è infatti il significato del titolo del nuovo album. Dopo tutti questi anni non si registra nessun cambiamento della line-up originale che rimane stabile con 6 componenti. La voce è quella di Jaana Mäkinen, poi troviamo una coppia di chitarristi rappresentata da Antti Koivistoinen e Tuomo Suhonen, una solida sezione ritmica gestita dal bassista Teijo Kostiainen e dal batterista Olli Kalmari ed infine Olli Autio alle tastiere.
Tantissimo tempo a disposizione per affinarsi non ha portato purtroppo a risultati del tutto convincenti. L’album, per quanto spontaneo possa apparire, si presenta a noi come una produzione amatoriale alquanto rustica. Il sound è piuttosto solido, grazie alla presenza dei due chitarristi, la base ritmica è spesso squadrata e regolare, di impatto hard rock, mentre la voce di Jaana, per quanto aggraziata, non regala grosse emozioni ed è priva di grossi slanci emotivi. Le parti tastieristiche sono molto modeste ma ben inserite nel contesto. Il sapore è quello di uno scolorito demo anni Ottanta con inflessioni new prog e hard rock e qualche riferimento a gruppi locali come i Viima che tuttavia non vengono eguagliati. I suoni sono imperfetti e duri ed il loro colore, che trovo talvolta fastidioso, sciupa molto l’ascolto.
Nonostante questo, da un punto di vista strettamente compositivo, il disco non è affatto da disdegnare. Non tutti i brani hanno lo stesso peso comunque e direi che la conclusiva “Elegia” possa rappresentare l’episodio meglio riuscito. In apertura assaporiamo un certo lirismo col suono del pianoforte sovrastato dalle melodie disegnate dalle chitarre. La voce di Jaana appare abbastanza adatta a questa sorta di ballad lunare ed i momenti strumentali lasciano respirare il brano con riferimenti che possono portarci verso i Magenta o i Marillion. Purtroppo quella sensazione di muffa e cantina persiste sempre e non posso fare altro che immaginare lo stesso brano con un sound diverso. Non molto elegante poi è la scelta di terminare il pezzo, e quindi l’intero album, in dissolvenza e si tratta dell’ennesima ingenuità commessa da questo gruppo a parer mio, sintomo forse di una certa sciatteria nel gestire la sala di registrazione. Alcuni episodi hanno un mood più oscuro come “Vihamielinen viima” (“Spirito odioso”) o come la stessa title tack dal sapore quasi tribale, altri sono più energici e tirati come l’opener “Alfa Centauri”, altri ancora acquistano una certa complessità come “Kallat ja kynttilät” (“Teschi e candele”), con i suoi ritmi spezzettati e gli slanci chitarristici, mentre altri sono più sognanti come “Kauneus on hetken varas” (“la bellezza è la ladra del momento”), per lo meno nella sua porzione iniziale, a dimostrazione quindi che le idee non mancano e che sono potenzialmente ben strutturate.
Se il gruppo non dovesse metterci altri 10 anni, avrei piacere di apprezzare un nuovo album meglio impostato per quel che riguarda il sound, gli arrangiamenti ed il lavoro di produzione in modo tale da rendere giustizia ad idee compositive nient’affatto banali.



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Jessica Attene

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