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OVERHEAD |
Telepathic minds |
autoprod. |
2023 |
FIN |
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Giungono al sesto album in studio i finlandesi Overhead, con un ambizioso concept doppio, per un totale di quasi un’ora e mezza di musica e disponibile sia in cd che in vinile. Era il 2002 quando la band debuttò con “Zumanthum”, edito dalla Mellow Records, un gioiellino che presentava una band giovane e capace di proporre un prog convincente ed erede di quel romanticismo caro a Genesis e Camel. Seguono cambi di etichetta e, almeno all’inizio, altri validi lavori, ma un progressivo indurimento di sound ha portato a cambi di rotta che negli episodi più recenti non avevano convinto del tutto. Il lungo periodo della pandemia, oltre che essere alla base dell’aspetto testuale, sembra aver rifocillato la vena di ispirazione del gruppo, che in questo “Telepathic minds” prova a raggruppare le tendenze principali della sua carriera, presentando sia il rock sinfonico incontaminato degli esordi, sia quello più robusto e in stile “tardi” Arena, con chitarre elettriche ruggenti spesso in primo piano, cosa che per molti artisti sembra quasi un passaggio obbligato. “War to end all wars” apre l’album con un prog tecnologico, che alterna, attraverso belle dinamiche, soluzioni heavy e altisonanti passaggi classicheggianti, sulla scia dei migliori Ayreon. Un inizio decisamente promettente, ma a seguire il livello qualitativo si mantiene altalenante, anche se fortunatamente affrontiamo più momenti positivi che cadute di tono. Il problema, come dimostra la seconda traccia “Ghost from the future”, è che in composizioni ad ampio respiro (nello specifico si sfiorano i tredici minuti) il lato duro che c’è alla base dà un senso di freddezza e devono essere gli interventi e i ricami del flauto, le tastiere sinfoniche e dei passaggi più pacati a riequilibrare le cose e a far notare che la band, se vuole, non manca certo di buon gusto. La maggior parte dei brani ha una durata abbastanza estesa (solo due vanno al di sotto dei sette minuti) e la problematica appena descritta si avverte in più di un’occasione. Ed è un peccato, sia perché all’interno di uno stesso pezzo si avvertono degli sbalzi così netti da sembrare forzati, sia perché non mancano le occasioni in cui la band regala bellissime emozioni. È il caso di “The pilot’s not fit to fly”, in cui, pur non rinunciando a suoni più duri, il brillante utilizzo del flauto (fortunatamente presenza costante nel disco) e i fraseggi melodici fanno pensare ad una bella versione moderna dei Jethro Tull. Anche l’andamento ipnotico, dai tratti vagamente psichedelici, seguito da un crescendo imponente, di “Sleep tight sweetheart”, così come la ballad “Tuesday that never came”, episodio più breve di quattro minuti, donano piacevoli sensazioni. Tra i momenti clou, non si può non menzionare la suite che dà il titolo all’album, che viaggia oltre i diciassette minuti. È l’occasione migliore per mostrare come i musicisti siano a loro agio tra quelle che sono le caratteristiche ormai più “classiche” di certo prog, tra cambi di tempo e di atmosfera, melodie accattivanti, passaggi più ricercati, impasti elettroacustici e voli strumentali dove tecnica e feeling vanno di pari passo. Non certo un picco di originalità, ma di sicuro molto gradevole da ascoltare. Potremmo continuare con la descrizione dettagliata dei contenuti, ma avrete già capito che “Telepathic minds” è un disco valido e ben suonato, pur avanzando tra alti e bassi. A voi e ai vostri gusti, magari guidati anche da un preascolto, scegliere se vale la pena affrontare l’acquisto.
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Peppe Di Spirito
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