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VERBAL DELIRIUM Conundrum Bad Elephant Music 2022 GRE

I greci Verbal Delirium sono al loro quarto album in studio; affermare che i tre lavori precedenti a questo mi abbiano lasciato indifferente vorrebbe dire far un torto alla band stessa ma è altresì vero che nessuno dei due che ho avuto modo di ascoltare mi abbia impressionato più di tanto, a differenza di questo “Conundrum” che invece si è guadagnato un posto non marginale nelle mie playlist di fine anno. Non che la band avesse certo bisogno della mia approvazione, dato che nel tempo si è guadagnata apprezzamenti internazionali sia coi tre precedenti album, sia con il lavoro solista del suo leader Jargon (pseudonimo di John Kosmidis) che ricordiamo anche per le sue collaborazioni ad altri progetti (Ciccada e Drifting Sun).
Gli elementi che hanno caratterizzato finora la musica dei Verbal Delirium ci sono ancora tutti, in questo nuovo album: un Prog moderno, influenzato sì da nomi storici quali Pink Floyd, King Crimson e Van Der Graaf Generator ma sicuramente non esente da contaminazioni anche estranee al mondo del Progressive, con sonorità talvolta oscure e malinconiche, pop elegante e rock mainstream sempre in agguato a far sovente capolino ma senza che questo comporti mai delle cadute di stile e cali di tensione.
La maestosità di certe soluzioni musicali e l’ottima alternanza di momenti violenti a fasi caratterizzate da un umore più cupo ci predispone ad un ascolto attento e non superficiale. La prima parte dell’album è costruita in un inquietante crescendo, con il breve intro “Falling” che sfocia senza soluzione di continuità nella solenne “In Pieces” in cui le parvenze di un coro gregoriano fa salire la tensione a livelli palpabili. Tutto finisce all’improvviso ed inizia “Intruders”, dall’apparenza apparentemente più scanzonata che non può non ricordarci i Cardiacs o addirittura qualcosa dei Talking Heads; brano che ad un certo punto si scatena in ritmiche frenetiche e travolgenti. “The Children of Water” abbassa di nuovo i toni e dà vita a una canzone dai richiami beatlesiani in cui il cantato assume tonalità alte e si muove su un’orchestrazione complessa ma carica di melodia, con frequenti stacchi di piano. La title track inizia con un crescente riff di batteria su cui si inserisce poi il sax per un avvio su sonorità vagamente circensi e dai connotati balcanici. Il brano, interamente strumentale, mantiene sonorità giocose ma si sposta poi su sonorità più tipicamente Prog, con ritmiche complesse che salgono progressivamente di intensità.
La seconda metà dell’album inizia con i 9 minuti di “The Watcher”, brano anch’esso contraddistinto da ritmiche complesse e articolato su un’alternanza di umori e situazioni che lo fanno quasi percepire come una mini-suite. Un cantato a tratti melodico e raffinato si avvicenda a momenti più furiosi e dalle tonalità più alte, con trascinanti spunti strumentali disseminati di break e ripartenze come se non ci fosse un domani. La successiva “Neon Eye Cage”, anch’essa oltre i 9 minuti di durata, parte in maniera decisamente contrastante col brano appena conclusosi, con un cantato sottotraccia e una tenue ballad che ben presto tuttavia prende il volo verso vette ritmiche e umorali più elevate. I Saga rappresentano il riferimento più diretto che viene da fare per questo brano decisamente più lineare del precedente ma in ogni modo godibile, pur senza incantare, e che si chiuderà ritrovando la ballad dell’inizio. Spazio adesso per l’ultima canzone “Fall from Grace”, dall’approccio molto più rilassato e melodico, con morbide sonorità di piano che accompagnano il brano in un lento crescendo che sfocerà infine in un assolo di chitarra che virtualmente chiuderà questo bellissimo album.



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Alberto Nucci

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