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DRAGON Scented gardens for the blind Vertigo 1975 (Replica Records 2023) NZ

I Dragon riuscirono a raggiungere un certo successo nelle classifiche locali soltanto negli anni Ottanta con un repertorio piuttosto mainstream ma sicuramente vale la pena ricordarli per le loro produzioni più datate che comprendono un paio di album molto interessanti ed improntati al Progressive Rock. Il debutto, intitolato “Universal Radio”, venne pubblicato su Vertigo nel 1974 mentre questo “Scented Gardens for the Blind” uscì nel Febbraio del 1975 per la medesima etichetta. A quei tempi il gruppo, nato ad Auckland nel 1972, operava in Nuova Zelanda ma, dopo la pubblicazione di quest’opera, si trasferì definitivamente in Australia.
Agli esordi la line-up comprendeva Todd Hunter al basso, Ray Goodwin alla chitarra, Neil Reynolds alla batteria e Graeme Collins nel doppio ruolo di voce solista e di tastierista. Proprio a quest’ultimo si deve la scelta del monicker che fa riferimento al “Libro dei mutamenti”, il celebre testo classico cinese considerato da Confucio come libro di saggezza ed utilizzato a livello popolare come mezzo divinatorio. Nel 1974 la line-up cambia con l’abbandono di Reynolds, rimpiazzato da Neil Storey, e di Collins, sostituito come cantante solista da Marc Hunter, fratello minore di Todd, mentre le tastiere andranno all’ex Mandrake Ivan Thompson. Da segnalare inoltre in questo album sono gli interventi della cantante neozelandese Josie Rika come voce in background.
“Giardini profumati per i ciechi”, il titolo dell’album, trae ispirazione dall’omonimo ed onirico romanzo della scrittrice neo-zelandese Janet Frame. La protagonista è Erlene, una ragazza che all’improvviso smette di parlare, o meglio, lo fa soltanto con uno scarabeo. Mentre la madre cerca in tutti modi di far recuperare alla figlia le sue relazioni, il padre è lontano dai suoi cari da 11 anni perché completamente assorbito dal tentativo di ricostruire l’albero genealogico di una famiglia di nessun interesse.
La musica non ha in realtà nulla di visionario, come il riferimento all’opera di Janet Frame potrebbe far intuire, ma è molto solida. Ha un feeling decisamente inglese e talvolta è piacevolmente innervata da ruvide contaminazioni hard blues, come è subito evidente dalla briosa “Vermillion Cellars”, con i suoi accattivanti riff di chitarra ed i decisi interventi dell’organo. Intellegibili sono i riferimenti a Sebastian Hardie e Kestrel, soprattutto nei momenti più dilatati, come nella lunare “La Gash Lagoon”, brano che gode di belle aperture Mellotroniche con intermezzi sofisticati e deliziosamente sinfonici. In “Sunburst” non possiamo fare a meno di notare le doti canore di Marc Hunter che domina con potenza e dolcezza scenari musicali ampi e solari, con linee melodiche affascinanti. Anche nei pezzi più semplici e diretti vengono inseriti abbellimenti ed arrangiamenti per nulla banali, come il brillante intervento dei synth che illumina una bluesy e scanzonata “Grey Lynn Candy”. “Darkness” è breve e movimentata col basso piacevolmente in evidenza mentre la conclusiva traccia, la title track, appare più articolata e complessa, con riferimenti evidenti ai Genesis e colorate tracce lisergiche a sfumarne le colorazioni opache.
Questa ristampa vinilica graditissima (anche perché quelle in CD ad ora reperibili erano tutte di fatto illegali) ci restituisce un’opera musicale dagli ingredienti non proprio originali ma miscelati con un gusto tutto particolare e con un approccio spontaneo ma al tempo stesso insolito per i nostri standard musicali europei. Vi convergono infatti sentori che ci portano agli anni Sessanta ed arrangiamenti di fatto più moderni in un ibrido molto personale: una specie di progressive rock marsupiale che riuscirà a stuzzicare la vostra curiosità.



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Jessica Attene

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