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TOM PENAGUIN Tom Penaguin Ámarxe 2024 FRA

C’è voluto un bel po’ di tempo prima che Tom Penaguin, compositore e multistrumentista francese, riuscisse a completare e pubblicare quest’album. Un sogno cominciato a coltivare da diciassettenne e che è diventato realtà solo dopo dieci anni, con l’acquisto di un bel po’ di strumenti e la realizzazione di un proprio studio di registrazione analogico. E drizzassero le antenne gli appassionati della scena di Canterbury, perché questo dischetto, interamente strumentale, va forte in quella direzione. Penaguin non propone nulla di originale, ma il risultato finale del suo lavoro mostra un amore viscerale verso certi suoni e certi timbri, che ha voluto recuperare con minuziosità attraverso una serie di brani finemente costruiti. E fa tutto lui, dalla composizione alle esecuzioni. Solo trentotto minuti per questo disco eponimo, ma tutti di squisita fattura. Durante l’ascolto emergono echi di National Health, Egg e Hatfield and the North, le melodie “sfiziose” della scuola canterburiana, i suoni vintage del Fender Rhodes, del Moog, delle chitarre Gibson, il jazz-rock progressivo… Si parte con “The stove vewpoint introduction”, che è in realtà un collage di quasi tre minuti che mescola rumori, effetti elettronici e suoni di varia natura, ma si entra davvero nel vivo dell’album con “Housefly leg”, oltre quattordici minuti che riprendono appieno quelle trame affascinanti che inseguiva alla grande Dave Stewart negli anni ’70. Se l’inizio vibrante fa venire subito in mente i National Health, nel prosieguo, grazie a dinamiche particolari, si passa più volte da soluzioni infuocate in cui i ritmi sono veloci, a rallentamenti che portano ad una calma improvvisa e apparente, più rarefatti e sereni, con quel fare ipnotico di cui erano maestri gli Hatfield and the North. In alcuni frangenti ti aspetti quasi che attacchi la voce di Richard Sinclair… A seguire la più concisa “Aborted long piece no2” vira maggiormente in direzione Egg, con un sound più rotondo, qualche deviazione sinfonica e le tastiere a fare la parte del leone. Si passa ad “Arrival of the great hedghehog” e si ritorna ad un jazz-rock stralunato, che va avanti per oltre nove minuti tra temi incisivi, variazioni, cambi di atmosfera ed uno splendido e prolungato assolo di chitarra che non cela un’influenza zappiana. Finale affidato a “The stove packed up and left”, con nuovi rimandi ai National Health ed una musica che riesce ad apparire, al contempo, intricata al punto giusto ed elegantemente melodica.
Non sono pochi gli artisti che negli ultimi decenni si sono confrontati con il mondo sonoro canterburiano. Giusto per ricordare qualche nome, Volaré, Glass, Machine and the Synergetic Nuts, Wrong Object, Amoeba Split, o più recentemente gli spagnoli Magick Brother & the Mystic Sister, gli inglesi Zopp e gli italiani Homunculus Res e Winstons sono gruppi che hanno realizzato album particolarmente interessanti. Eppure non è facile trovare artisti che hanno avuto un approccio alla “materia” come quello mostrato da Penaguin (se non, forse, i giapponesi De Lorians), che ha voluto ricreare in tutto e per tutto le sonorità, le trame, le atmosfere e i timbri descritti (persino i curiosi titoli dei brani sembrano studiati apposta per avere assonanze con quelli dell’epopea canterburiana), risalenti a un’epoca lontana, ma che pure ancora raccolgono proseliti. Non c’è originalità in questo suo lavoro, lo ribadiamo, ma la musica proposta è ottima. Con la curiosità di vedere se proseguirà su questa scia in futuro, per ora premiamo pienamente Penaguin per l’impegno profuso e per i risultati ottenuti.



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Peppe Di Spirito

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