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LEVIATHAN Heartquake / Redux AMS Records 2024 ITA

Sul finire degli anni ’80, come sappiamo, si cominciarono a vedere i primi timidi tentativi di risveglio del Progressive Rock made in Italy, dopo un periodo in cui il genere musicale era ormai stato dato per morto e sepolto. Sulla scia del successo internazionale di cui stavano godendo i Marillion, o comunque cercando di ripercorrere i sentieri musicali dei gruppi degli anni ’70, alcune bands italiane avevano cominciato a farsi sentire in qualche piccolo concerto, o con la messa in circolazione di demo-tapes artigianali ma carichi di passione e di entusiasmo. I romani Leviathan furono tra i primi a riuscire a pubblicare un disco; nel 1988 uscì infatti “Heartquake” che, a differenza di altre bands che pubblicarono anch’esse i loro album nello stesso periodo, prendeva ispirazione musicale direttamente dal new Prog britannico: Marillion, quindi, ma anche (e direi soprattutto) IQ e Pendragon.
L’album era molto godibile, specialmente per gli appassionati del genere, ma la ridotta disponibilità di mezzi tecnici e l’inesperienza hanno lasciato nei membri della band romana il desiderio di poterlo un giorno registrare con mezzi adeguati e risorse di esperienza sicuramente più elevate. Finalmente era giunta l’ora di una nuova versione adeguata e corretta, a quanto pare; della band che registrò quell’album non rimangono che due membri: il batterista Andrea Moneta, il cui lavoro alle pelli abbiamo di recente apprezzato nei due album dei britannici Zopp, ed il vocalist Alex Brunori, che si è dedicato ad esperienze teatrali, durante il periodo del letargo (pur inframmezzato da sporadiche apparizioni ad alcuni tributi e album compilation) dei Leviathan. Accanto a loro troviamo alle tastiere Andrea Amici, già membro del gruppo, entratone a far parte in occasione del suo secondo lavoro (“Bee Yourself”, 1990), alla chitarra il veronese Fabio Serra, mente dei Røsenkreütz e in precedenza negli Arlequin (band facente parte di quella piccola ondata di metà anni ’80 che riuscì a registrare solo un demo-tape) e negli Yellow Plastic Shoobeedoo (tribute band dei Genesis quando la cosa era di sicuro meno scontata), ed il bassista senese Andrea Castelli, bassista metal di lungo (e prestigioso) corso con esperienze anche Prog negli Airspeed (altra band degli anni ’80), Vicolo Margana e di recente nella nuova formazione del Rovescio Della Medaglia.
Questo elenco di curriculum serve per presentare un lavoro che, dal punto di vista del materiale umano disponibile, partiva quindi con il migliore dei viatici. Tutto questo sarebbe servito a poco senza un approccio entusiastico e ben indirizzato nella realizzazione di una nuova versione di un album che, pur coi suoi difetti, rimaneva comunque una piccola pietra miliare nel percorso di rinascita del Prog italiano.
Il brano d’avvio “The Waterproof Grave”, con le sue melodie che rimangono efficacemente abbarbicate nella memoria dell’ascoltatore, è (ed era) un potenziale hit single: breve, efficace e con liriche particolari che narrano una storia macabra di una vendetta post-mortem. Gli IQ, quelli degli anni ‘80, sono una presenza tangibile e reale in questa ed in altre tracce; in “Up We Go!”, nello specifico, sembra che da un momento all’altro debba irrompere la voce di Peter Nicholls… e d’altra parte, specialmente nella prima metà, sembra di ascoltare una versione alternativa di “Fascination”.
Altri brani si allontanano leggermente dagli stilemi new Prog: la seconda traccia “Hellishade of Heavenue” ha caratteristiche più soft, con addirittura qualche venatura blues. “Only Visiting this Planet” ha un deciso sapore di rock anni ’80, a cavallo tra FM e Prog, con belle progressioni strumentali. “Dream of the Cocoon” è una ballad sognante, come suggerisce il titolo, ma intenso ed umorale, orecchiabile ma non superficiale. L’album si chiude con la title track, un brano dai toni epici e a tratti enfatici, una sorta di saga eroica in cui il protagonista stavolta non è un cavaliere coraggioso ma un chirurgo e la bella principessa da salvare è invece il cuore di una persona cara.
Ovviamente chi già aveva ascoltato la versione precedente dell’album troverà familiari queste canzoni, anche perché non sono certo state stravolte rispetto alle versioni originali, e sarà incuriosito dalla dovizia di dettagli che troverà migliorati e meglio curati in questa versione “Redux”.



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Alberto Nucci

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