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ODESSA L’alba della civiltà La Locanda del Vento 2022 ITA

Gli Odessa non hanno mai nascosto riferimenti al prog italiano degli anni ’70, anche attraverso la presenza di cover nei loro dischi, come è accaduto con “Alzo un muro elettrico” del Rovescio della Medaglia e “Caronte” dei Trip sul primo e con “Cometa rossa” degli Area sul secondo. Non siamo di fronte ad un gruppo molto prolifico, visto che l’esordio “Stazione Getsemani” risale al 1999 e il successivo “The final day” è datato 2009. E ci sono voluti altri tredici anni per arrivare al terzo album, intitolato “L’alba della civiltà”, che va in perfetta continuità stilistica con quanto proposto già in passato dalla band. Anche in questa occasione troviamo una cover non banale, che è “L’anno, il posto, l’ora” che apriva “Parsifal”, probabilmente l’episodio più legato al rock sinfonico da parte dei Pooh, qui offerta in una veste che si rifà ad una versione inedita presente solo su un documento live. Al di là delle ottime capacità degli Odessa di eseguire riproposizioni molto interessanti di brani del passato, è da sottolineare anche in questa occasione la loro bravura nel repertorio personale. In questo nuovo capitolo della loro discografia, oltre al pezzo citato, offrono altre sette tracce che fanno fare un emozionante tuffo indietro nel passato. Le influenze sono le solite, tra PFM, Area, il citato Rovescio della Medaglia, le Orme, anche gli Osanna quando il flauto diventa più irruente. Ma il tutto è portato ai nostri giorni e proposto con una verve frizzante e con la giusta personalità. Un incipit strumentale, “La stanza vuota” fa da elegante introduzione, poi “Invocazione” ci mostra subito tutte le caratteristiche degli Odessa, tra riff graffianti, ottimi intrecci strumentali, melodie mediterranee, gli inevitabili cambi di tempo e di atmosfera ed una prova vocale incisiva. I musicisti mostrano il loro talento abbinando tecnica e feeling per tutti i tre quarti d’ora dell’album. La loro abilità di lanciarsi in molteplici variazioni anche all’interno di una stessa composizione è presente continuamente durante l’ascolto, come dimostrano episodi quali “Di buio e luce parte 2”, la title-track e “Rasoi”, nei quali coesistono delicatezza e robustezza, tra stacchi continui, passaggi hard-prog, romanticismo e deviazioni jazz-rock. Un quadro perfetto della loro musica può essere individuato nella strumentale (se si eccettua una breve parte in “vocalese”) “L’organista del bosco”, in cui viene a galla un prog sinfonico di spessore, senza perdere di vista le caratteristiche di imprevedibilità cui abbiamo fatto cenno. Molto bella anche la conclusione affidata alla stralunata e sognante “Nell’etere”. Importanti nella buona riuscita dell’album sono poi le scelte timbriche e l’alternanza e le interazioni tra il calore di Hammond, chitarra acustica e flauto e i suoni più abrasivi di chitarre elettriche e tastiere. Si sono fatti aspettare gli Odessa, ma l’attesa è stata ripagata benissimo!



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Peppe Di Spirito

Collegamenti ad altre recensioni

ODESSA Stazione Getsemani 1999 
ODESSA The final day 2009 

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