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FLAME DREAM |
Silent transition |
autoprod. |
2024 |
SVI |
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Credo che nessuno, neppure i più incalliti fans del progressive rock, si sarebbe aspettato nel 2024 un album di inediti degli svizzeri Flame Dream e, a maggior ragione, con la formazione originale! Eppure, è successo! E così, ora, abbiamo tra le mani “Silent transition” a ben 38 anni dal trascurabile “8 on 6” pubblicato nel 1986. La discografia della band è concentrata in soli 8 anni (dal 1978 al1986) nei quali furono pubblicati ben 6 LP, di cui solamente i primi 3, “Calatea”, “Elements” ed “Out in the dark” sono da annoverare tra le piccole e misconosciute gemme del prog a cavallo tra seventies ed eighties. Mai ristampati su cd (eccezion fatta per bootleg non autorizzati), parrebbe che la band abbia intenzione di colmare questa lacuna, riproponendo, finalmente, alcuni titoli del loro catalogo. Ma veniamo all’oggi. I Flame Dream versione 2024 sono: Pit Furrer (batteria e percussioni), Urs Hochuli (basso), Roland Ruckstuhl (piano, organo, tastiere, percussioni), Peter Wolf (voce, flauto e sax) e la new entry, alla chitarra, Alex Hutchings. “Silent transition” si dipana attraverso sei composizioni, di cui ben quattro sopra i dieci minuti. Tutte le componenti migliori del loro sound sono presenti: melodie orecchiabili, passaggi strumentali prevalentemente “romantici”, arrangiamenti freschi e moderni. L’iniziale “No confort zone” è paradigmatica in questo senso, con una batteria “secca”, “svisate” di organo ed una ficcante presenza della chitarra elettrica. Molto bella la title track, che si “accende” subito sostenuta da un bel riff dell’elettrica di Hutchings, per poi adagiarsi sul cantato di Wolf con atmosfere più pacate. Una lunga sezione strumentale in cui Hammond, synth e chitarra assurgono, a turno, a protagonista, ci conducono al finale in cui viene ripreso il riff iniziale di chitarra. “Velvet clouds” si muove, per circa la sua metà, simile alle precedenti con il cantato in primo piano, ma è nelle lunghe trame strumentali che la band offre il meglio di sé con raffinati incastri di piano, chitarra acustica, synth e chitarra elettrica. Affascinanti i secondi finali con le sole note del pianoforte. Con “Out from the sky” il minutaggio si accorcia, assestandosi sui sei minuti di durata. Si tratta di una gradevole ballata per pianoforte e voce ben eseguita. Lo strumentale “Signal on the shores” ci propone un moderno prog sinfonico, frizzante ed enfatico, a tratti. “Winding paths”, la traccia più lunga (sfiora i quindici minuti), è anche secondo me la meno riuscita. Stavolta le melodie non convincono, alcuni effetti elettronici e le ritmiche anni Ottanta sono un poco stucchevoli e non basta qualche spunto di Hammond a risollevare le sorti del brano. Peccato. Malgrado quest’ultimo passo falso, l’album è certamente gradevole e, pur non raggiungendo le vette dei primi tre lavori ( e lo si poteva prevedere), si ascolta con piacere.
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Valentino Butti
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