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ANTILABE’ Animi motus Lizard Records 2023 ITA

Non è per me consueto iniziare a parlare di un album partendo dalla qualità dell’incisione, elemento che in genere prendo in considerazione in fondo alla mia disamina, né mi sembra particolarmente accogliente salutare in questo modo l’atteso ritorno degli Antilabé, tornati alla nostra attenzione con questo quarto album in studio dopo un lungo gap di circa 5 anni dall’ottimo “Domus Venetkens” (2018), ma vi assicuro che l’esperienza di ascolto che mi ha regalato questo splendido album in vinile è stata per me assolutamente piacevole e sorprendente. I suoni caldi, scolpiti nei dettagli, profondi e delicati nelle frequenze medie, si sono espansi con gentilezza occupando ogni volume della stanza, creando una dimensione acustica tridimensionale, avvolgente e totalmente immersiva. Adolfo Silvestri, bassista ed elemento storico del gruppo, mi aveva in realtà anticipato che l’incisione era stata pensata espressamente per il supporto in vinile e che era stata oggetto di cura particolare culminata con un accurato processo di mastering presso gli Alchemy Air Studios di Londra ma apprezzare il risultato con le mie orecchie è stato decisamente stupefacente.
Le sorprese non si fermano però a questo aspetto esteriore della musica ma riguardano l’essenza stessa di questa nuova produzione. L’ecletticità del gruppo la conoscevamo e qui trova sentieri musicali inaspettati che portano ad una congiunzione di stili diversi che ben si adatta al contenitore del Progressive Rock, sfidandone i limiti. C’è il jazz rock con nuance Canterburyane e c’è la musica da camera, ci sono contaminazioni elettroniche e frammenti etnici che serpeggiano morbidamente in uno scenario onirico e cangiante. La voce solista è sempre quella di Carla Sossai, limpida, rassicurante, inafferrabile nei suoi continui saliscendi lungo correnti ritmiche piacevolmente irregolari. Ogni traccia ha i suoi colori, i suoi sapori, le sue caratteristiche, enfatizzate dalla scelta accurata della strumentazione che varia leggermente di episodio in episodio. La sensazione è che nulla sia stato lasciato al caso, neanche il dettaglio più piccolo che viene scolpito nel suono con incredibile precisione.
Equilibrio, diversità, sono concetti che emergono fra le tante sfumature di 8 tracce prive di esasperazioni ma ricche di profondità, simmetricamente collocate sulle due facciate del vinile, unico supporto disponibile assieme a quello digitale. La musica è prevalentemente di Marino Vettoretti (chitarre, percussioni, tastiere) con la collaborazione in alcuni episodi di Adolfo e Alessio Silvestri. La paternità di “Resilienza”, la traccia più lunga, è invece di Graziano Pizzati, uno dei membri fondatori degli Antilabé che però non compare nella attuale line-up. Questa traccia sfoggia il suo carattere particolare con le sue sembianze jazzy dai riflessi notturni. Le percussioni calde e felpate svelano fragranze Canterburyane che si stemperano in un contesto moderno ma permeato di visioni etniche e di richiami alla musica antica, con modalità che potrebbero ricordare un po’ i Gentle Giant.
Ma torniamo all’inizio, perché la traccia di apertura è quella a cui si affidano le prime sensazioni di ascolto che sono quelle che spesso ci rimangono più impresse. “Labirinti della mente” svela già a partire dal titolo quali sono gli elementi narrativi che legano ogni traccia e ci fa entrare nel mondo delle emozioni umane, viste come fonte di nutrimento per il corpo e per l’anima e come modello per interpretare il mondo attorno a noi. Il labirinto della mente è l’ingresso verso il nostro universo interiore, fatto di luci e di ombre, di sensazioni spesso indecifrabili. I caldi rintocchi della marimba di Luca Crepet assieme agli elementi etnici ci offrono la sensazione che ci stiamo addentrando in un luogo misterioso ed impenetrabile, una giungla di emozioni incomprensibili rischiarate dalle preziose aperture cameristiche ed in particolare dalla voce del sax soprano. I pensieri sembrano infine dileguarsi nei momenti più introversi che diverranno dominanti in “Dubitar”. Ma prima di arrivarci bisogna attraversare “Metalleia”, cioè la miniera dell’anima, un episodio piacevolmente intricato e non lineare. Gli strumenti si intersecano in tanti riflessi sonori con sensazioni che mi portano in parte a “In a Glass House” dei Gentle Giant (eccoli ancora). Ed ecco quindi “Dubitar” il cui sapore intensamente meditativo viene amplificato dai rintocchi mistici del Rav Vast (uno strumento della famiglia degli handpan) suonato da Adolfo Silvestri. Il respiro della musica ci fa volare verso l’oriente con le ali leggere del flauto contralto (Giuseppe De Bortoli) che si affianca all’oboe (Arrigo Pietrobon). Il pianoforte di Loris Soverigo aggiunge ulteriori dettagli e la chitarra classica di Marino Vettoretti offre un tocco caldo e speziato mentre il testo, in lingua sabir, un idioma franco barbaro dei tempi delle crociate stranamente simile al veneto, accresce la percezione di smarrimento che si prova in una terra lontana e straniera.
“Timor panico” ha un cuore più roccioso con le belle dinamiche del sax soprano di Alessandro Leo che si spiralizza col vibrafono, la chitarra elettrica e con gli intricati incastri vocali. La base ritmica, con la batteria di Luca Tozzato, si fa più scolpita e rende perfettamente conto dei sentimenti descritti nel testo che sono di profonda prostrazione di fronte alle difficoltà impreviste. Le voci confuse e l’ambientazione elettronica confondono l’ascoltatore in uno scenario opprimente, quello di “Segregazione”, che sfocia in una scappatoia sonora suadente impregnata di fragranze etniche con suggestioni che mi riportano a certe soluzioni dei russi Marimba Plus, se c’è qualcuno che li ricorda. “De animi solitudine”, con la solitaria lucentezza del pianoforte, ha il fascino di una colonna sonora e sembra quasi aprirsi sui vuoti dell’animo umano.
Ma l’epilogo di questo viaggio si apre verso sentimenti di speranza, quelli di “Una luce nuova”. Poesia e musica si uniscono grazie ai versi recitati da Enzo Giraldo e agli archi della Magister Espresso Orchestra. Il brano, dal taglio moderno che si apre sulle ritmiche scolpite e regolari della batteria, termina improvvisamente con un senso di sospensione e di incompiutezza che ci spinge a desiderare un nuovo viaggio, un nuovo ascolto, un nuovo inizio ed è come risvegliarci diversi, con le nuove emozioni che si sono sprigionate da un’esperienza che non è solo musicale ma di profondo ascolto interiore. Come le esperienze più profonde e significative della nostra vita non avvengono a caso, questo album mi fa pensare a nuovi possibili orizzonti.

 

Jessica Attene

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