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ANGULART Donde renacen las horas Mylodon 2004 CHI

Preceduto da un demo nel 2001 e da un EP nel 2003, il gruppo cileno giunge finalmente al suo debutto discografico. Lo stile può essere definito sinfonico, anche se i suoni, sostenuti da riff potenti di chitarra, sono decisamente grezzi. L’approccio di questi ragazzi appare istintivo ed il gruppo si lancia spesso in lunghe cavalcate, in cui si inserisce, non sempre in maniera efficace, la voce rabbiosa e cupa di Jorge Garrido, con uno stile un po’ alla Pelù. I toni sono ombrosi e le varie parti sono assemblate in maniera abbastanza semplice, l’una dopo l’altra, con pochi giochi di incastro e spesso in maniera poco consequenziale. Spesso sembra di trovare una certa affinità con i Black Sabbath degli esordi, grazie anche all’inserimento di sequenze per così dire gotiche dalle cadenze quasi doom (come in “Locuzco” o anche nella successiva “Engendrando Ciegos”). In altre occasioni invece il punto di riferimento sembra spostarsi verso i Deep Purple, con parti lanciate di Hammond (o meglio del suo equivalente digitale) e chitarra: sta di fatto che si percepisce in maniera costante una forte matrice hard rock. La band cerca di inserire alcuni diversivi, come parti dalla ritmica un po’ più movimentata, di ispirazione Crimsoniana, o addirittura qualche breve siparietto di piano jazz, ma si tratta comunque di elementi utilizzati di rado che non vengono assolutamente amalgamati in maniera fluida nell’insieme sonoro. Non manca qualche spunto degno di interesse con spinte più decisamente sinfoniche che anche in questo caso vengono soffocate da un insieme granitico e grossolano. Nella mini-suite “Judas” i suoni si fanno più ariosi, grazie all’uso profuso del pianoforte, accompagnato, nella prima parte (“La Locura”), da una batteria abbastanza vivace. I toni sono drammatici e teatrali, nella centrale “El Dolor”, ballad per pianoforte e voce, mentre la parte finale, “La Culpa”, è quella che riserva le sorprese più piacevoli, con la sua lunga parte strumentale decisamente più complessa rispetto allo standard della band, con assoli di chitarra, batteria, pianoforte e persino di basso ed interessanti parti di testiere, con un approccio decisamente sanguigno e live oriented. Fra gli episodi più riusciti includo infine “Un Planeta En Mi Retrovisor” con la sua apertura fulminante: una impetuosa cavalcata dai suoni ruvidi con bellissime spinte di tastiere ma, purtroppo, come quasi sempre accade in questo album, le buone idee degenerano in pezzi dalla stesura elementare e grossolana. Debutto da non bocciare su tutti i fronti, perché non privo di buone idee che potrebbero dare dei buoni sviluppi in seguito, ma che comunque si staglia su livelli di risicata sufficienza, nonostante le buone capacità del gruppo.

 

Jessica Attene

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