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ANEKDOTEN Nucleus Virtalery 1995 SVE

Non c'è cosa peggiore, per un gruppo giovane, di sapere di essere atteso al varco. La paura di sbagliare, la consapevolezza di essere giudicato con un metro due volte più puntiglioso del normale, possono originare una tentazione a sottrarsi al confronto, mediante la ricerca per la propria musica di una linea evolutiva sottilmente diversa da quella che sarebbe apparsa la più naturale. Della sacra trimurti del nuovo progressive svedese, gli ANEKDOTEN erano rimasti gli ultimi a dover dare un successore ad un acclamatissimo esordio come "Vemod". Dal canto loro, infatti, sia i cugini Änglagård che Landberk avevano già da tempo provveduto a bissare i fortunati "Hybris" e "Lonely land", a conferma di quanto detto sopra lanciandosi - rispettivamente - lungo la pericolosa strada della sperimentazione e lungo quella di un più classico (?) rock alternativo, anche se abbondantemente contaminato dal progressive e comunque bellissimo.
Ragionando in questo senso, gli ANEKDOTEN sono quelli che hanno accettato la sfida. Senza pensare se fosse o meno possibile dar vita ad un nuovo "Vemod" (o, meglio, dar vita ad un disco che sarebbe stato accolto come un nuovo "Vemod"), hanno scelto di riprendere il discorso esattamente da dove l'avevano interrotto, cercando di correggere tutte le imperfezioni che, a loro modo di vedere, l'esordio doveva contenere. Detto ciò non si pensi che la musica abbia subito un perfezionamento formale: questa è infatti ancora più oscura (i VDGG insegnano), più sospesa, più visionaria (a tratti quasi psichedelica), più dissonante che in passato, ed in definitiva ancor più calata negli oscuri meandri dei primi Settanta. Ritorna quindi la rabbia primordiale e quasi palpabile dei dialoghi strumentali, con il basso di Jan Erik Liljeström che ancora riesce (non si sa come) ad innalzarsi sopra il muro sonoro eretto dagli altri strumenti (tra i quali l'immarcescibile - e maltrattatissimo - mellotron); ritornano i momenti di introspezione giocati sul cello di Anna Sofi Dahlberg (ai quali è stata tuttavia sottratta una buona dose di melodia); ritornano, infine e soprattutto, ottimi brani come "Harvest" (il preferito di chi scrive), "Book of hours" (con la voce filtrata di Jan Erik che sembra provenire dall'oltretomba), "Here" e "In freedom", isola di pace posta a conclusione dei CD.
A voler esser sinceri questo "Nucleus" soffre tuttavia un po' del complesso del secondo arrivato, e ci riferiamo a quel senso di déjà-vu che inevitabilmente assale quando una formula musicale già nota viene riproposta per la seconda volta, non riuscendo proprio per questo a suscitare le emozioni provate col primo impatto. Questo mi fa trarre una conclusione che sarei felice di veder confermata: probabilmente coloro che riusciranno meglio ad apprezzare questo CD saranno proprio quelli che "Vemod" non lo hanno mai ascoltato. Per i restanti non devono comunque esistere dubbi: gli ANEKDOTEN erano e rimangono grandi.

 

Riccardo Maranghi

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