Home
 
APPLE PIE Crossroad Mals 2007 RUS

Il Progressive Rock è sovente afflitto dal male della clonazione, fenomeno che da una parte consente di mantenere un certo numero di ascoltatori, nostalgici di certi suoni al punto da cercarli insistentemente in ogni nuova produzione musicale, ma che al tempo stesso presta il fianco a molti detrattori, ai quali basta indicare due o tre di questi gruppi che vanno per la maggiore per poter concludere sprezzantemente che il nostro è un genere morto da anni che non fa altro che riciclare i propri momenti migliori, appartenenti purtroppo ad un passato che non potrà ritornare. Questo meccanismo perverso si autoalimenta costantemente, al punto che si assiste di continuo a delle clonazioni di clonazioni… a gruppi cioè che prendono un po' qua e un po' là e ad altri musicisti che si rifanno poi proprio a questi ultimi, dando origine ad un circolo vizioso che, se da una parte può dar vita a produzioni discografiche gradevoli, dall'altra segna una decisa stagnazione dal punto di vista artistico. E' il caso, lo avrete capito, di questo quartetto russo il quale vede negli Spock's Beard i propri numi tutelari ed i propri modelli. Impressionante l'avvio di "The beginning", il brano d'apertura di quest'album, in cui sembra di ascoltare il follow-up di "The light". Si parla di sonorità, di tematiche musicali… di un feeling generale insomma, che ci riporta alle prime incarnazioni del gruppo americano, quelle con Neal Morse, non solo debitore stilistico del primo album (e qui verrebbe da dire: purtroppo!) ma anche degli episodi successivi, sicuramente più sbilanciati nei confronti di un rock americano energico e mainstream. Persino l'ispirazione fortemente cristiana del gruppo ci rimanda ineluttabilmente a Morse!
I nostri quattro russi, tra i quali riconosciamo Alexey Bildin, sassofonista dei Little Tragedies, impegnato qui anche nel ruolo di bassista, sono tecnicamente piuttosto bravi, musicalmente sanno il fatto loro e sono anche in grado di offrirci bei momenti di rock, ben costruito e con arrangiamenti validi, una pronuncia inglese perfetta… insomma… si tratta di un buon disco, ammettiamolo. Non particolarmente ruffiano per ciò che riguarda le melodie, sufficientemente complesso ma gradevole e godibile, con un suono pieno e allettante. Cosa si vorrebbe di più? Beh… non so se un gruppo russo debba per forza avere balalaike e bayan nel proprio armamentario o dar prova dei propri background classici, certo è che un album così americano, dai connotati così tipicamente americani, è difficile trovarlo al di fuori del territorio a stelle e strisce! Non che questo sia necessariamente un difetto ma è sicuramente spiazzante. Senza dubbio il gruppo ha buone potenzialità; speriamo solo che riesca a scrollarsi di dosso gli eccessivi fardelli che ce li fa quasi inquadrare come una tribute band.

 

Alberto Nucci

Italian
English