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ASTURIAS In search of the soul tree Musea / Poseidon 2008 JAP

Dopo un paio di release in versione acustica e realizzate con una line up rinnovata sotto il moniker di "Acoustic Asturias", la band torna in vita sotto la guida del chitarrista e leader Yoh Ohyama che è riuscito a rimettere insieme i ¾ del gruppo originale. Della vecchia formazione che dal 1988 al 1993 realizzò tre bellissimi album in studio ("Circle In The Forest", "Brilliant Streams" e "Cryptogram Illusion"), a parte Yoh (che suona anche tastiere e basso), tornano infatti i due Shingetsu Akira Hanamoto (Mellotron) e Haruhiko Tsuda (chitarra elettrica), assieme ad una serie di ospiti che comprendono i musicisti già reclutati negli Acoustic Asturias (Yoshihiri Kawagoe al piano, Kaori Tsutsui al clarinetto e al flauto e Kyoko Itoh al violino) ed altre personalità del prog nipponico fra cui segnaliamo Satoshi Hirata, chitarrista dei Flat122, e Tsutomu Kurihara, chitarrista dei Lu7. Il risultato è un album che conserva la grazia e la freschezza delle recenti produzioni acustiche, proiettandosi allo stesso tempo verso le esperienze più remote del gruppo e che presenta una ricchezza e una complessità nettamente superiore negli arrangiamenti che appaiono sempre aggraziati e lineari ma densi di particolari e realizzati su tanti livelli sovrapposti. Sicuramente l'ottimo "Cryptogram Illusion" appare, messo a confronto con questo nuovo album, più minimale: ricordiamo i temi portanti tastieristici che si intrecciavano a pochi elementi acustici. In questo caso, forse grazie alla recente esperienza degli Acoustic Asturias, i fili melodici che vengono intrecciati sono più numerosi, anche se, lo ripeto, non si viene mai a perdere l'immagine lineare e distesa delle canzoni, e sembra quasi che Yoh abbia voluto far confluire in un unico album le due incarnazioni della sua band, quella acustica e quella elettrica. In questa maniera entrano spesso in gioco le chitarre arpeggiate che si alternano ed interagiscono con quelle elettriche, impressioni soft fusion che si compenetrano delicatamente con elementi folk ed orchestrali in un brulicare di suoni fitto ed esile, dallo sviluppo lento e progressivo che ipnotizza con i suoi loop e le sue ciclicità. E' impossibile non pensare a Wim Mertens o a Mike Oldfield, verso il quale questo album sembra un vero e proprio tributo, e allo stesso tempo saltano alla mente paesaggi Cameliani e tenui allusioni ad elementi folk locali, con un'amplificazione anche degli elementi sinfonici. La struttura dell'album che si divide in due grosse suite di oltre venti minuti l'una, sembra amplificare dal canto suo l'impressione di distensione della musica, che si sviluppa senza fretta, in maniera rilassata, grazie alla sovrapposizione e all'alternarsi di idee melodiche semplici ma dolcemente suggestive ed evocative sulle quali spesso l'artista ama indugiare o verso le quali più volte ritorna. Forse questa volta Yoh ha riempito più del solito le sue composizioni, ma l'effetto è a mio giudizio affascinante e riesce a dare luce contemporaneamente alle diverse anime di questa band: un album che ha saputo emozionarmi e per me una delle uscite più significative dell'anno.

 

Jessica Attene

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