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ARS NOVA The seventh hell - la Vénus endormie Musea 2009 JAP

Continua la saga Ars Nova dal Giappone. Qualcosa è cambiato rispetto agli esordi di questa band nata come trio tutto al femminile e incentrata sul keyboards-playing funambolico dell’abile Keiko Kumagai. Nel corso degli anni ci sono stati alcuni cambiamenti in formazione, che attualmente sembra essersi stabilizzata con due maschi, Satoshi Handa alle chitarre e Hazime alla batteria, al fianco della Kumagai e della bassista Panky. Il nuovo album targato Ars Nova contiene cinque composizioni che confermano un po’ l’andamento degli ultimi lavori, in cui si era notato un indurimento del sound con gli inserimenti di una ruvida sei corde ed anche un incremento della componente dark. La ricerca del suono spettacolare e maestoso, inoltre, è sempre stata una caratteristica alla quale il gruppo sembra non voler rinunciare (e sono anche mantenute certe inclinazioni decisamente kitsch, sia da un punto di vista musicale, sia come immagine). Il ruolo centrale giocato dalle tastiere continua a far sì che i punti di riferimento principali coincidano con alcune grandi passioni della leader e quindi è inevitabile notare influenze marcate derivanti dall’ascolto di ELP, Banco, Balletto di Bronzo, Goblin, Trace. I momenti migliori sono proprio questi, quando le tastiere dettano temi, puntano su un sound maestoso, dalla vena classicheggiante e con ritmi variabili. Quando invece si avvertono accelerazioni più azzardate, con tempi spediti e frenetici, accompagnate da un sound quasi metal derivante dagli innesti chitarristici (vedi, in particolare, “Voice of wind”), il discorso si fa meno convincente (e lo stesso si può dire per quei pochi momenti cantati, non proprio esaltanti…). Di certo alcuni passaggi della title-track e dei diciassette minuti di “Salvador Syndrome” offrono delle soluzioni che difficilmente lasceranno indifferenti gli amanti dei tasti d’avorio. “Seventh Hell” risulta in fin dei conti un buon disco, che non potrà deludere chi ha sempre seguito con piacere la band e può essere visto anche come un netto passo avanti rispetto ai due precedenti album, anche se continuiamo a preferire “Transi” e “The Goddess of darkness”.


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Peppe Di Spirito

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