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DADDY ANTOGNA Y LOS DE HELIO Viva Belice Viajero Inmovil 2009 ARG

Il batterista Daddy Antogna è una sorta di gloria per i cultori del rock argentino, visto che ha preso parte a splendide avventure negli anni ’70 con la sua militanza in formazioni importantissime come Ave Rock, Orion’s Beethoven e Pastoral. Negli anni ’80 la sua carriera sembrava compromessa, dopo un incidente che lo ha costretto ad una sedia a rotelle, ma recentemente, dopo una lunga riabilitazione e sfruttando la tecnologia moderna ed un drumkit particolare, sta tornando a far parlare di sé guidando il gruppo dei Los de Helio. Insieme a Fernando de la Vega che gli dà manforte alla batteria, a Nicolas Diab al basso e ad Alan Courtis alle chitarre, porta avanti un progetto che evidenzia uno spirito musicale dai canoni non ben definiti, ma decisamente intrigante per chi cerca qualcosa di diverso dalle “solite solfe”. Il cd ”Viva Belice” infatti contiene otto tracce strumentali, tutte basate su un lavoro di ricerca che spinge verso un’unica direzione: l’acidità psichedelica discendente dagli anni ’70, l’ossessività chitarristica frippiana dei King Crimson periodo ’73-’74 ed una voglia di sperimentazione/improvvisazione da jam band capace di infilare qua e là anche insoliti timbri di violino, fisarmonica, zampogna e violoncello (a cura degli ospiti Fernando Gallardo e Carmen Levinson). Antogna e i suoi compari spingono molto su un sound graffiante ed atipico, ma sono capaci anche di cambiamenti in corsa e di aperture raffinate ed emblematica, in tal senso, è la seconda traccia “Desincrustante”, che si basa su un riff aspro e divagazioni chitarristiche quasi Hendrixiane, ma che presenta anche nel mezzo atmosfere ariose sorprendenti. Discorso simile per la title-track, che molto deve al pilastro Crimsoniano “Larks’ Tongues in Aspic”, con la chitarra nervosa e gli intriganti inserimenti di violino, ma anche con un intermezzo decisamente elegante che dona un tocco sinfonico. Da segnalare anche qualche momento più granitico, come l’hard-progressive di cui è impregnata “Sub Umbra Floreo”, o le tentazioni Floydiane di “Colapsa”. Alla base sempre i ritmi ricercati e inconsueti dettati dalla batteria, che sembrano dare una linea guida all’intero lavoro. In generale, si può dire che i tre quarti d’ora dell’album scorrono via lisci e si lasciano ascoltare con piacere fino ai dieci minuti della conclusiva “Veronica D.”, moderno inno psichedelico, imprevedibile con le sue variazioni e i suoi crescendo. E l’Argentina si conferma terra dove anche oggigiorno si può pescare ottima musica.


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Peppe Di Spirito

Collegamenti ad altre recensioni

AVE ROCK Espacios 1977 (P.R.W. 1996) 

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