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AUSPEX Heliopause Pervade Productions 2010 FRA

In realtà questa produzione sfiora soltanto il Progressive Rock che contamina, a volte anche in maniera significativa, un metal tecnico condito di accelerazioni power e ricami barocchi di fattura non banale. Per il gruppo di Grenoble questa è la seconda fatica discografica, registrata, come avvenne con il debutto del 2006 (“Resolutio”), con l’ausilio di un grande produttore: Brett Caldas-Lima dei Cynic. Bisogna dire che, sotto questo profilo, a livello sonoro l’album è molto ben realizzato, con le voci dei vari strumenti perfettamente equalizzate, ad occupare gli spazi acustici in maniera proporzionata. Su una base ritmica che vola spesso sul rullare veloce del doppio pedale, vengono intessute melodie dal sapore classicheggiante con atmosfere a volte gotiche, a volte da film. Il rumore, che non manca nei riff distorti di chitarra, è tuttavia tenuto a freno da frequenti iniezioni di melodia, da intermezzi classicheggianti orchestrali ma soprattutto dalla aggraziata voce di Elodie Buchonnet, affilata ma anche molto duttile, come si percepisce dagli insoliti, ma comunque brevi, camei jazzy inseriti ad arte nell’epica “Ad Astra per Aspera” o sul finale di “I Walked Awoken on Titan”. L’inglese è la lingua prevalente anche se in qualche occasione troviamo alcuni versi in giapponese, come facilmente possiamo intuire dal titolo della sesta canzone, “Setsunaki Tabi”, che nella copertina è riportato con gli ideogrammi. Tra l’altro proprio quest’ultima traccia, come a dimostrare l’importanza della melodia di questa band, è del tutto priva di chitarre e si basa su arie molto delicate, disegnate dalla voce e da un esile piano. Ma il contesto, non lo dimentichiamo, è pur sempre quello del metal e a fare da contrappeso troviamo episodi abbastanza pesanti, come “0-1-01 (And so on…)”, con una fastidiosa voce filtrata e chitarre sature. Nei momenti più veloci e barocchi, come in “Through the Looking Glass”, i punti di riferimento potrebbero essere i Symphony X, mentre altre somiglianze, che possiamo cogliere qua e là potrebbero essere quelle con i Vanden Plas ma anche con i NightWish e con i Blind Guardian. L’aspetto orchestrale, anche se non è comunque eccessivamente sviluppato ed ingombrante, è quello che, assieme ovviamente a quello canoro, trovo più interessante, con una scelta molto elegante delle timbriche, con archi, fiati, il piano e persino delle belle campane tubulari. Le parti di chitarra non sono invece particolarmente fantasiose e di questo strumento vengono sfruttati poco gli aspetti solistici ed i fraseggi mentre viene posto l’accento sulla ritmica. Questo fondamentalmente perché non si tratta di uno di quegli album ipertecnici e farciti ma di un’opera in cui viene valorizzato il disegno di insieme, anche a discapito dei colpi di scena di cui spesso si abusa in produzioni del genere. Sia ben chiaro che non stiamo parlando di un disco originale e che sicuramente non riscrive la storia del rock in alcuna maniera ma di certo non mancheranno, fra gli estimatori del genere, quelli che lo apprezzeranno per le sue qualità.


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Jessica Attene

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