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AUTUMN CHORUS The village to the vale Fading/AltrOck 2012 UK

Il progetto Autumn Chorus nasce dal comune interesse di un gruppo di amici verso le affascinanti vestigia storiche della contea del Surrey e le tradizioni rurali del Sud dell’Inghilterra, denominatori comuni che porteranno i quattro musicisti a dedicarsi a forme di espressione intrise di spirito “Olde English” e di profumi di secoli andati.
La registrazione di quest’opera d’esordio inizia nel mese di settembre del 2009 in uno studio nella campagna del Sussex e si rivela complessa e laboriosa, soprattutto per la volontà del leader, vocalist e polistrumentista Robbie Wilson di non perdere neanche una stilla di sostanza evocativa nelle fasi di registrazione e overdubbing, stadi cruciali per un disco che fa della sua ricchezza strumentale il suo punto di forza.
La band è solo in apparenza configurata come un classico quartetto rock, ma bastano poche note per rendersi conto di quanto questa pur generica etichetta sia stavolta davvero fuori luogo, potendo inserire gli Autumn Chorus in un filone neo-sinfonico perfettamente in linea con la tradizione classica britannica. Questa descrizione potrebbe far pensare di aver a che fare con emuli dei gloriosi The Enid, ma mentre la band di R.J. Godfrey si esprime stratificando tastiere e sintetizzatori con effetto orchestrale, i nostri preferiscono un’attitudine “cameristica”, un impianto strumentale più intimistico (incluse percussioni idiofone e fiati, oltre alla fondamentale presenza degli archi) e un ruolo sussurrato, con inflessioni d’altri tempi, delle parti vocali cui si concede comunque un gran risalto.
Ciò che stupisce al primo ascolto è la naturalezza con cui si è riuscito a fondere questi elementi melodici “antichi” con atteggiamenti tipici della scuola post-rock: i crescendo strumentali, la semplicità armonica di passaggi affidati al glockenspiel, le chitarre tintinnanti… se l’adozione di queste soluzioni può richiamare alla mente i texani Explosions in the Sky, la fusione di tutto ciò con avvolgenti sottolineature di viole e flauti conduce l’ascoltatore in direzione degli islandesi Sigur Rós (si ascolti “Bye bye now”, in cui si coglie anche l’influenza degli ultimi Talk Talk…) e del loro connazionale Ólafur Arnalds, pur in presenza di una sensibilità inconfondibile che rende palese la loro provenienza geografica.
Il brano posto in apertura “Three jumps the Devil” stupisce proprio per la deliziosa giustapposizione di percussioni, organo, chitarra elettrica (Chris Lloyd) con timbriche antiche di fiati ed archi e funge da perfetta introduzione a ciò che seguirà: brani in cui la componente neoclassica è dominante, come “You’ll wait forever” e “Never worry”, caratterizzate dal timbro vocale di Wilson, di scuola corale tradizionale (pensate ad un omologo british di Robin Pecknold dei Fleet Foxes e non sarete lontani…), supportato dalla voce degli ospiti Anna-Lynne Williams e Thomas Feiner (dalla band svedese Anywhen), alternati a brani di matrice più moderna, come “Thief” in cui spiccano il piano e il flauto di Helen Whitaker e acquista prominenza la sezione ritmica (Peter Evans, basso e Luke Foster, batteria) ed episodi più vicini al prog-rock di matrice folkeggiante, come “Brightening Sky” con parti soliste affidate alla voce femminile. Come spesso accade, il brano più lungo, “Rosa”, strutturato a mo’ di suite con temi ricorrenti è a suo modo una summa delle sfaccettature sonore ascoltate altrove, e risulta magistrale nel coniugare nell’arco dei suoi sedici minuti esplosioni strumentali elettriche e frangenti di puro romanticismo.
Come avrete capito, abbiamo a che fare con l’esordio di una band che con un po’ di fortuna potrebbe diventare un nome prominente nella scena art rock britannica (in cui prevale ancora la tendenza ad aggrapparsi a stilemi new-prog e prog-metal, non a caso la pubblicazione è opera di un’oculatissima etichetta italiana), un lavoro senza punti deboli, maturo, succoso, originale ed estremamente godibile. A mio avviso uno dei dischi essenziali ascoltati nell’anno in corso, da acquistare senza esitazioni.



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Mauro Ranchicchio

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