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ALIAS EYE In between Progrock Records 2012 GER

Pur combinando diversi stili musicali in un insieme più o meno complesso che per diverse ragioni può essere benissimo inserito nel grosso contenitore del Progressive Rock, gli elementi di base che contraddistinguono la produzione musicale di questa band teutonica rimangono sempre la melodia e l’intrattenimento. In quasi quindici anni di esistenza il gruppo ha snocciolato soltanto quattro album, con un esordio discografico, “Field of Names”, risalente al 2001 seguito dai due successori “Different Point of You” e “In Focus” stampati rispettivamente nel 2003 e nel 2007. Negli anni il gruppo ha potuto contare su una formazione piuttosto stabile con un recente avvicendamento di Tilmar Fisher alle tastiere a sostituire il veterano Vytas Lemke. L’ottima produzione, i suoni levigati e soprattutto il cantato teatrale di Philip Griffiths rendono l’esperienza di ascolto sempre scorrevole e priva di intoppi ma anche poco entusiasmante a vedere bene. Per inciso, pare che Philip sia figlio del più celebre Martin dei Beggars Opera ma che questo non vi confonda troppo le idee, siamo su ben altri lidi, anche se qualcuno sicuramente tirerà in ballo l’illustre parentela per rendere più appetibile il prodotto… L’unica puzza che si sente dei Beggars Opera qui dentro è quella di “Time Machine”, brano coverizzato in questo album e tirato a lustro con l’aggiunta di un bello strato di smalto patinato, al quale partecipa Martin in persona. La ricerca del giusto riff di chitarra, del ritornello cantabile, della giusta atmosfera senz’altro sono segni di un lavoro ben fatto e ben studiato e il tentativo stesso di trovare soluzioni stilistiche variopinte, seppure sempre accattivanti, è apprezzabile e contribuisce a dare un senso generale di varietà. Se un pezzo come il centrale “Star Shall Falls”, con un cantato sognante e i suoni limpidi del pianoforte, fa grossa leva sul sentimento, “All the Rage” acquista una verve fra il funky ed il rock melodico e patinato dei Mr Big. La title track, in cui vengono reclutati dei fiati, sembra quasi ispirarsi ai Supertramp più disimpegnati. Molto più accattivante per i suoi suoni grezzi e oscuri è “Take What's Mine” che sfoggia assoli e riff di chitarra sanguigni dal sapore vintage. Abbastanza tirata anche la conclusiva “The Blink of an Eye” dai potenti impasti hard blues e tastiere appena più decise, comunque stemperati da quella solita e costante vena melodica e da quel cantato pulito che non rocka né rolla, sì teatrale e tecnicamente inattaccabile ma forse non sempre di impatto quando serve. A questo punto un gruppo che vanta tanti anni di esperienza dovrebbe puntare a qualcosa di più rispetto al compitino ben fatto, l’album è, lo ho già detto, godibile e scorrevole, ricco di melodia, puntate AOR ed elementi rock, non privo di qualche stravaganza, se vogliamo, ma forse bisognerebbe osare di più e tirare fuori carattere, passione, ispirazione, tutte cose che latitano un po’ in questa nuova e ben fatta prova discografica.



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Jessica Attene

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