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AFENGINN OPUS Westpark Music 2016 DAN

I danesi Afenginn (parola che in Norreno antico significa intossicazione e forza) vengono descritti come un gruppo folk, avanguardistico, klezmer, con forti influenze punk, folk nordico e world music; tra il 2004 ed il 2013 hanno dato alle stampe 5 album, alcuni dei quali insigniti di lusinghieri premi a livello nazionale ed internazionale, e nel 2016 è uscito dunque questo sesto lavoro, distribuito su due CD. Il gruppo è composto da 7 musicisti, guidati dal fondatore Kim Rafael Nyberg (che però è finlandese), cui si affianca un nutrito numero di ospiti, principalmente agli archi e ai fiati, a formare una piccola orchestra che ha ben poco di rock: manca la chitarra ad esempio (ma c’è un cittern), così come ridotto è l’apporto di strumentazioni elettriche, in favore di strumenti come mandolino, clarinetto, marimba e violoncello… ma per contro ci sono due batteristi/percussionisti.
La descrizione fatta in apertura la posso ritrovare solo in parte, ascoltando la musica di quest’album; in realtà ci troviamo alle prese con circa 83 minuti di musica fondamentalmente cameristica e classicheggiante, caratterizzata da un incedere in prevalenza calmo e crepuscolare, con giusto qualche accenno klezmer ed etnico, neanche troppo lontana dai Sigur Rós. La genesi dell’album è abbastanza particolare: nel corso di un tour in Australia, Nyberg ebbe un incidente che lo costrinse a rimandare il ritorno in patria di 40 giorni; il periodo che dovette trascorrere da solo in Tasmania stuzzicò particolarmente la sua vena creativa, a quanto pare, e al termine di questo soggiorno forzato il nuovo album era tutto praticamente già scritto.
“OPUS”, oltre che su due CD, è suddiviso in quattro parti, ognuna contraddistinta appunto da una lettera della parola OPUS, della durata di circa 20 minuti ciascuna, divisa ovviamente in movimenti. La prima di queste è l’unica divisa in 6 movimenti, includendo un breve “Intro” di effetti elettronici e sviluppandosi allegramente (o quasi) in bilico tra musica cameristica, folk balcanico (vengono in mente gli Alamaailman Vasarat) e accenni sudamericani. Si tratta senz’altro della parte più movimentata e percussiva delle quattro, con sprazzi di avanguardia ed elettronica che inframezzano le deliziose aperture orchestrali che diverranno familiari nel corso dell’album, con alcune linee melodiche piacevoli e di facile attrattiva. Nel quarto movimento (“Luna Televisio”) cominciamo ad apprezzare il discreto cantato di Ólavur Jákupsson, presente peraltro in pochissime tracce, caratterizzato dal fatto di cantare in un linguaggio particolare, ideato dal gruppo stesso, che fonde parole in Latino, Finlandese, Spagnolo e Tedesco.
La seconda parte è ben più calma e distesa, con una musicalità a tratti quasi sussurrata, con l’aspetto cameristico che predomina nettamente, assumendo quasi le sembianze di un requiem. Oserei dire che si tratta della parte più bella delle quattro, con la presenza della splendida e notturna “Vespersong”, dominata da lunghe parti di violino, che si staglia su tutto il resto.
La terza parte, quella della lettera U, che apre il secondo CD, è la più variegata, includendo nelle sue mosse iniziali alcuni elementi musicali balcanici e mediorientali (“Tabbouleh Rasa”), inseriti ovviamente all’interno degli ambiti che già conosciamo. I ritmi si fanno quindi più sinuosi ed ammiccanti, con buffi fiati che talvolta ci portano alla mente anche qualcosa di Zappa. “Resende Tabul” vede finalmente l’esplosione della componente klezmer, mentre il movimento finale (“Akkapolska”) ci offre un folk nordico che si fonde con la musicalità di danze arabeggianti, in un crescendo ritmico.
L’ultima parte, la lettera S, ha un lento incedere circense nei suoi primi movimenti, con uso di percussioni e fiati, in cui si fanno strada via via timide ritmiche tribali. Il pezzo cantato da Ólavur (“Amore Memoriam”) ha un deciso sapore di canto gregoriano e sfocia nel movimento più lungo dell’intero album (“Axiom”, poco meno di 10 minuti), costruito in lento crescendo, con le percussioni metalliche che fanno da tappeto al pigro incedere degli archi, fino al lento scemare delle note in un finale in sfumando, col violoncello che ci offre le sue ultime calme pennellate.
Se devo essere sincero, non conoscevo questo gruppo e non mi aspettavo un album del genere, appassionante nel suo eclettico classicismo, delizioso e ammaliante, crepuscolare ma anche giocoso, ricco di spunti musicali che si intersecano continuamente e che, a dispetto della sua lunghezza e della particolarità della proposta, riesce davvero a non annoiare mai. Un’opera stupenda che spero in molti vorranno provare ad ascoltare.



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Alberto Nucci

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