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ARABS IN ASPIC Madness and magic Karisma Records 2020 NOR

Primo album per la Karisma Records per i norvegesi Arabs In Aspic che, nei precedenti cinque lavori in studio (più un live), si erano dimostrati tra i più convincenti alfieri di un progressive rock di impronta tipicamente seventies. Un percorso coerente che aveva auto il suo apice nell’ultimo “Syndenes magi”, nel quale tutte le tessere del puzzle sonoro della band trovavano la corretta collocazione nei tre lunghi pezzi proposti. In “Madness and magic”, l’ultima fatica del gruppo, la formula, sin qui vincente, viene riproposta ma anche rivitalizzata, sviluppandosi in modo più “leggero”, presentando un solo lungo brano posto sul finale, tre pezzi intorno ai setto/otto minuti ed altri due più brevi. Il sound sempre ricco di Mellotron, Hammond, chitarre acide e sfumature dark, è, però, meno opprimente ed aggressivo e vengono sperimentate soluzioni un poco inedite (almeno per il gruppo) come un’accentuata ricerca percussiva e canora che all’inizio lascia un po’ interdetti, per poi rivelarsi quel quid mancante e, anzi, essenziale nell’economia dell’album.
”Madness and magic” si apre con “I vow to thee, my screen” che propone subito questo percorso alternativo che impegna la band per circa otto minuti. Un costante lavoro delle percussioni di Alessandro Elide, le chitarre acustiche, il Mellotron ed il cantato creano atmosfere sottilmente psichedeliche. Quando il brano si inasprisce con Hammond ed echi “sabbathiani” evidenti, l’impressione è che i ragazzi di Trondheim vogliano comunque affidarsi ad un suono meno monolitico e più soffuso anche se Arabs DOC. Il risultato è più che convincente.
Particolare anche “Lullaby for modern kids, part 1”, con soffici percussioni che anticipano un denso dialogo tra il basso di Erik Paulsen e le polifonie vocali un po’ alla Gentle Giant o alla Queen nelle fasi più heavy. Si origina un muro sonoro corposo che incontra i VDGG, passando per i Sabbath (ancora…) più articolati. La parte II del brano è, invece, una breve soft song ben fatta. Un po’ “funkeggiante” “High-tech parent”, con coretti fine anni sessanta sbarazzini che fortunatamente vengono integrati con bordate di Hammond e chitarre energiche. La title track inizia con chitarre arpeggiate poi il flauto aggiunge colore e calore prima dell’ingresso della voce. Il ritmo si increspa con Hammond purpleiano ed un cantato più incisivo ad elevare la qualità del pezzo.
E’ la volta, in chiusura, della suite “Heaven in your eye” di quasi diciassette minuti. Certamente un brano non “sobrio”, malgrado il morbido inizio, con le frequenti stilettate della chitarra di Jostein Smeby, la ritmica rocciosa del duo Eskil Nyhus (batteria) /Elide (che con le sue percussioni aggiunge un tocco etnico-tribale non indifferente) e del bassista Erik Paulsen, senza dimenticare l’impetuoso Hammond di Stig Jørgensen. Le digressioni acustiche che riprendono “arie” precedenti vanno a chiudere un album per certi versi sorprendente. Non per ispirazione, sempre ad ottimi standard qualitativi, ma per la raffinatezza di alcune soluzioni che ben si sposano con la ruvidezza di altri momenti magari più tipici della band. Comunque sia gli Arabs In Aspic sono ormai una certezza alla quale ci aggrappiamo volentieri ad ogni loro nuova pubblicazione. Ottimo.



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Valentino Butti

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