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APOGEE Endurance of the obsolete Progressive Promotion Records 2020 GER

Il progetto Apogee di Arne Schäfer, valido polistrumentista tedesco, con “Endurance of the obsolete” raggiunge il ragguardevole traguardo dei 10 album pubblicati con questo monicker. Come già per gli ultimi tre album, ad accompagnare Schäfer (voce, chitarre, basso, tastiere, arrangiamenti orchestrali), il fido batterista Eberhard Graef.
Sei brani ed oltre sessanta minuti di durata per questo “indimenticabile” 2020. Il sound è ormai consolidato e radicato, ma sempre di buona fattura ed ispirazione. Una miscellanea sonora che spazia dai Gentle Giant (i cori polifonici) al new prog inglese (Pendragon…) passando per i primi Genesis e senza tralasciare un approccio più robusto quando le necessità compositive lo impongono, ma non sfociando nello heavy tout court). Molto convincenti le prime due composizioni: “Interpretations” (appena sotto i dieci minuti) e “Waiting for the dawn” (quasi sei). La prima, tra Genesis e Gigante Gentile, con un bel “punch”, incastri vocali tanto cari agli Shulman Bros. Un sound che riesce comunque ad essere moderno e piacevolmente melodico. La seconda, un ottimo esempio di soft song con arpeggi di chitarra tipici dei Genesis prima maniera e con la voce di Schäfer che convince appieno nella sua delicatezza. La title track, poco più di dodici minuti, è un’antologia di prog sinfonico con tutti gli ingredienti necessari ben assemblati per assecondare il gusto più “romantico” dell’ascoltatore. Nulla di clamoroso, intendiamoci, ma ben concepito ed eseguito. “Spirits disengage” vira verso un new prog sinfonico con chitarra elettrica in evidenza e melodie sbarazzine. Altre due long tracks chiudono l’album. “The complex extensive way”, pur mantenendo una chiara “ortodossia” progressive, segna un po' il passo, limitandosi, Schäfer, al semplice compitino senza troppi sprazzi di luce. “Overruled”, che con i suoi sedici minuti abbondanti è la traccia più lunga del lavoro, soffre un po' di “gigantismo”, non tanto per la lunghezza in sé… ma per l’impressione che si scorge nel volere allungare ben oltre il dovuto una “song” zeppa di idee che, con una resa più concisa, poteva offrire soddisfazioni maggiori.
Malgrado un paio di inciampi, l’album si ascolta con piacere, confermando le indubbie qualità di Schäfer e del progetto “Apogee” che confeziona l’ennesimo divertente lavoro.



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Valentino Butti

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