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BUTTERED BACON BISCUITS From the solitary woods Black Widow 2010 ITA

Esordio davvero interessante per questa band italiana con un album che ci fa fare un viaggio nel tempo e ci riporta indietro di circa quaranta anni, quando il rock era energia, era voglia di andare oltre ogni frontiera, aveva chitarre ruggenti come simbolo ed emanava la sua forza dirompente in mille forme diverse. I Buttered Bacon Biscuits ci propongono nove brani di durata-medio lunga (molti vanno oltre i sei minuti e “State of mind” sfiora gli otto) in cui mostrano belle qualità sia da un punto di vista compositivo che esecutivo e nonostante le numerose influenze riescono a venir fuori con una personalità decisamente spiccata. Il sound è compatto, a tratti granitico, esaltato da una limpida produzione e dall’adrenalina che i musicisti scaricano attraverso ritmi impetuosi, una chitarra travolgente e i timbri sempre caldi e affascinanti dell’organo Hammond. A questo punto si rende necessario un bell’elenco di quelli che sono i contenuti del disco e gli svariati punti di riferimento. Pronti? In cinquantadue minuti sfilano in continuazione riff che sembrano uscire da dischi degli Uriah Heep, passaggi strumentali che rievocano le jam degli Allman Brothers e dei Grateful Dead (o, più recentemente, dei Gov’t Mule), ballate acide e malinconiche che potrebbero appartenere a Neil Young o ai Pink Floyd, vigore del rock sudista dei Lynyrd Skynyrd o dei grandi padri dell’hard-rock britannico (Led Zeppelin-Deep Purple-Black Sabbath), la psichedelia allucinata di Arthur Brown, Jimi Hendrix, Doors e persino dei corrieri cosmici tedeschi (specie in “Essaouira”), bagliori di blues-rock eredi dei Cream e di Eric Clapton… Vi basta? Direi che a questo punto non c’è molto altro da aggiungere: “From the solitary woods” è un disco che sfiora solo il prog, ma che è pienamente immerso in quella stagione in cui il rock esplorava ogni territorio e in cui gli appassionati non davano importanza alle etichette. Forse i Buttered Bacon Biscuits non possono esattamente definirsi “figli del loro tempo”, ma il tuffo nel passato che ci fanno fare ha tutte le potenzialità per catturare l’attenzione di chi è “cresciuto” con gli artisti citati in questa recensione e ama tuttora la loro musica.


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Peppe Di Spirito

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