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IL BALLO DELLE CASTAGNE Kalachakra HR.SPQR/Black Widow 2011 ITA

Appena ho visto la confezione dell’album ho immaginato un suono cupo e opprimente, dal sapore di corruzione e putrefazione, un blocco solido di materia con indice di riflessione pari a zero incapace di emettere luce propria. “Kalachakra” sembra avvisarci che stiamo per addentrarci nell’oscura galleria musicale appena descritta anche quando prendiamo in mano il cd su cui è stampato, totalmente nero sul lato riservato alla lettura.
In realtà non è tutto così scuro come sembra, a partire dal titolo. Il “Kalachakra”, infatti, è un rito religioso buddista culminante (per farla breve) nella creazione, e successiva distruzione, di un mandala di sabbia colorata, e rappresenta un percorso verso l’illuminazione spirituale di chi vi partecipa. Una tematica evidentemente religiosa, dunque, ma a dire il vero l’ispirazione dichiarata è quella delle immagini e della vicenda raccontata nel film omonimo di Werner Herzog risalente al 2003. Il film è dedicato alla celebrazione travagliata del “Kalachakra” ordinata nel 2002 dal Dalai Lama, dalle cui parole il gruppo dichiara di essere rimasto profondamente colpito. Con tali premesse, non può che risultare curioso l’apparente contrasto tra la tematica di fondo e la musica, con la creazione finale di un’atmosfera ibrida, fatta di chiaroscuri, del miscuglio e dell’alternanza di tenebre e luce, di spiritualità nei testi e oppressione nella parte strumentale.
Diretto prosecutore del precedente lavoro, il 10 pollici “108”, “Kalachakra” si assesta con comodità all’interno di un genere dark-prog dagli energici tratti hard, con influenze disparate che spaziano tra i suoni oscuri di Van Der Graaf Generator e Black Widow, l’energia dei Black Sabbath, le ossessioni per i temi psico-religiosi del Biglietto per l’inferno, sino ad abbracciare la psichedelia floydiana, l’elettronica ed il krautrock, con un esito finale ben amalgamato e coerente. Il disco si apre con “Passioni diaboliche”, incalzante declamazione sorretta da chitarra distorta e organo Hammond, per proseguire con la tensione psichedelica e le voci recitate di “Tutte le anime saranno pesate”. “I giorni della memoria terrena” è invece una sorprendente cover (solo nella parte strumentale) di un brano degli Eloy, per la precisione “The dance in doubt and fear”, dall’album “Down” del 1976, e ha l’andamento di una melodica danza ipnotica. Decisamente più hard e sabbathiano il brano che da il titolo all’album, con inserti di sitar e una disturbante coda ossessiva in crescendo. Rabbiosa e acida anche “La terra trema”, mentre si torna a privilegiare atmosfera e melodia in “La foresta dei suicidi”, guidata da pianoforte e tastiere, con sinistri effetti di synth a fare da contorno. Il rock psichedelico con influenze space di “Omega” e “Ballo delle castagne” chiude l’album, lasciandoci l’impressione di aver partecipato ad un viaggio spirituale tramutato in musica. Una musica a tratti forte e visionaria, a tratti rabbiosa e incalzante, a volte sinistra e malsana, ma sempre suggestiva e dotata di un soffuso tocco melodico che permette ai brani di restare in qualche modo legati alla realtà.
Le composizioni sono mediamente di discreta fattura, e se dovessi trovare difetti evidenti li cercherei nelle voci e nella produzione, probabilmente orientate in modo voluto ad evidenziare la ruvidezza dei suoni e a rafforzare un’atmosfera che finisce per diventare in parecchi momenti quasi horrorifica, in contrasto con l’aspetto mistico che permea il concept di fondo. Credo, in conclusione, sia saggio consigliare il disco anche a coloro che non sono troppo avvezzi ad atmosfere darkeggianti e ad argomenti ostici. “Kalachakra” è un album che richiede un impegno leggermente superiore alla media per essere apprezzato, ma lo sforzo fatto per adattarsi può essere senz’altro gratificante.


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Nicola Sulas

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