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BILL IN THE TEA Big tree autoprod. 2013 (AMS 2014) ITA

Giovani, catanesi, al primo full-length, ma con le idee ben chiare, i Bill in the Tea sfornano un disco interessante e intelligente, mostrandosi già forti a livello di maturità e personalità. Merito di un lavoro ben organizzato e studiato, di una proposta sonora che coglie più influenze indirizzandole verso un percorso preciso, della voglia di voler dire qualcosa di diverso pur essendo consci di essere nel 2014 e di doversi confrontare con decenni di sperimentazione nel rock. La componente prog in questo disco risulta particolarmente forte, eppure non è l’unica e ben si sposa con le intenzioni del gruppo di mescolare continuamente le carte, di non dare un appoggio fisso e stabile all’ascoltatore pur mantenendo coesione e omogeneità. Si parte con “Now I know what the m means”, un brano strumentale che delinea un po’ le caratteristiche dell’album: un continuo incrocio di strumenti, ritmi variabili e mai veloci e sembra quasi di sentire una versione moderna della PFM, un po’ tra lo spirito di “Stati di immaginazione”, un po’ spinta in varie altre direzioni. Ma è solo l’inizio. Man mano che i minuti scorrono incontriamo le lezioni di post-rock di Slint e June of 44, passando da nenie malinconiche a esplosioni sonore, rielaborando il tutto in chiave personale (“The day before”, uno dei quattro pezzi cantati), legami con musica elettronica, ambient e minimalismo (“Feynman”, “Interloop”), vivaci orchestrazioni jazz-rock e zappiane, già evidenziate dal titolo della traccia “I wanna be Frank Zappa”, persino soluzioni che possono ricordare i Finisterre (in particolare in “Big tree in a losing atmosphere”) ed una malinconica ballad dal sapore autunnale e vicina a certo rock alternativo (“Big tree in a losing atmosphere”). E che dire delle magnifiche combinazioni strumentali di “Mad!”, ancora in odore di PFM, e della conclusiva e ipnotica “Change colours”, che mostrano alla perfezione l’inventiva del gruppo? Dette così le cose si potrebbe pensare di essere di fronte ad un curioso minestrone e invece non è così, perché i Bill in the Tea, come accennato, riescono a darsi e a dare alla musica un’unicità di intenti, che ritroviamo nelle continue melodie ariose, in capacità tecniche notevoli che non sfociano mai nell’esibizionismo, in quel violino occasionale che aggiunge colore e disegna tratteggi affascinanti, in una componente “onirica” presente praticamente in ogni composizione. Disco che merita tantissima attenzione e gruppo che merita il massimo supporto.


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Peppe Di Spirito

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