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BORNIDOL II autoprod. 2014 ITA

Fin dagli anni ’70 ci sono stati artisti che hanno puntato con decisione su commistioni tra le sferzate robuste dell’hard rock e le architetture particolari e raffinate del progressive. Si trattava di contaminazioni che alle volte riuscivano alla grande e che trovarono terreno fertile anche in Italia, come dimostra il mai dimenticato Biglietto per l’Inferno. Nel nostro paese ci provano oggi i Bornidol a rilanciare certe sonorità, mantenendo un po’ le distanze dalle elucubrazioni e dagli eccessi del prog-metal e cercando un suono al contempo duro e articolato, ma che non perda orecchiabilità. Nasce così il secondo album intitolato semplicemente “II”, un concentrato di energia che spesso e volentieri strizza l’occhio ai grandi Uriah Heep. Dopo l’omonimo EP uscito nel 2007 la band si ripresenta dopo sette anni con un’autoproduzione professionale, ben registrata e sicuramente interessante e con una line-up formata da Paolo Gatti (voce, Hammond, tastiere), Massimo Colosio (chitarra), Francesco Fregoni (basso) e David Garletti (batteria) realizza questo lavoro contenente sette tracce che si caratterizzano anche per i testi in italiano. Basta il primo pezzo “Mezzaluna” per mettere le cose in chiaro, con quei riff granitici di chitarra elettrica stemperati dal calore e dal fascino del suono dell’organo Hammond (molto utilizzato in tutto l’album), alternando momenti cantati graffianti e passaggi strumentali prolungati e di grande effetto e dando subito una forte spinta verso i seventies. Si prosegue con le tentazioni sabbathiane di “War”, con passaggi tastieristici agilissimi che rinforzano la componente prog. Non poteva poi mancare il momento più melodico, che arriva con “Sognare… viaggiare”: con oltre sette minuti e mezzo è il brano più lungo dell’album ed evidenzia un certo romanticismo, per merito di eleganti parti vocali, qualche vago riferimento alla PFM e momenti solistici che lasciano intravedere tecnica e feeling. I tre minuti strumentali di “Prologo” mostrano una vena classicheggiante, proposta, però, con timbri “sporchi” di tastiere e sono preludio perfetto di “La tempesta”, in cui la band prova a personalizzare un po’ le cose, creando atmosfere abbastanza oscure, con una prima parte più pacata e vagamente psichedelica, ma sufficientemente minacciosa al punto da far prevedere l’esplosione sonora che puntualmente avviene, andando poi maggiormente a caratterizzare la seconda metà della composizione. Nell’accoppiata finale “I banchettatori di corte” – “Demoni” ecco che nuovamente il sound più tipico e passatista dei già citati Uriah Heep emerge con prepotenza e travolge con impeto l’ascoltatore, portando a termine un cd sicuramente meritevole di attenzione. Non stiamo parlando di un prodotto che fa dell’originalità il suo punto forte, ma i Bornidol mostrano comunque di saperci fare, grazie all’affiatamento tra i musicisti, ad un bravo cantante e ad una serie di brani assolutamente convincenti nel far avvicinare il prog e il rock duro.



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Peppe Di Spirito

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