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BAROCK PROJECT Seven seas Aerostella 2019 ITA

Sono già passati una dozzina d’anni dall’album di debutto dei Barock Project, l’acerbo “Misteriose voci” (che continuo peraltro ad ascoltare con piacere). Da allora, a cadenze abbastanza regolari, sono usciti altri quattro lavori in studio ed un live che hanno contribuito a porre la band tra le migliori del “nuovo” prog italiano. E’ di questi mesi la pubblicazione di “Seven seas” che vede la novità di un nuovo vocalist, Alex Mari, dopo che nel precedente “Detachment”, il deus ex machina del gruppo, Luca Zabbini, si era “sobbarcato” anche il ruolo di lead-vocals.
Della band emiliana si potrà dire di tutto, ma non certamente di riposare sugli allori: il sound degli esordi è un lontano ricordo (oltre al cantato che da “Coffee in Neukölln” è diventato in lingua inglese) e già da qualche album il suono si è indurito sfiorando, talvolta, anche il metal. Una “sperimentazione” sonora, quella dei Barock Project, che per certi versi ricorda quella dei Moongarden, alla continua ricerca di una via il più possibile personale all’interno del microcosmo prog. Si tratta senz’altro di un punto a favore dei ragazzi emiliani anche se, in“Seven seas”, con molte luci appaiono anche ombre che non inficiano peraltro la godibilità del prodotto.
Il lavoro è diviso in undici tracce per oltre un’ora di durata. L’apertura è affidata alla title track, ottimo manifesto di quello che sono oggi i B.P.: brano tagliente, diretto, nervoso, dalla ritmica serrata e poco… barocca. ”I call your name”, scelto come singolo, profuma di Yes (periodo “Talk” o comunque Rabin-era) per la continua ricerca melodica e l’uso corale delle voci. Un flash rock di facile presa ma molto gradevole. Segue “Ashes”, uno dei brani più convincenti: il piano delicato di Zabbini accompagna il cantato, un bel guitar-solo, ancora il piano, stavolta “saltellante” e poi il brano esplode ritmicamente con anche synth e Hammond impazziti. Ritorna la quiete con il piano e poi l’elettrica di Mazzuoccolo a chiudere il cerchio. Molto promettente l’inizio di “Cold fog”, col malinconico incedere del piano del solito ispirato Zabbini, poi il pezzo si inasprisce assecondando la verve potente di Mari. Un intermezzo acustico e l’ennesimo importante spunto di Mazzuoccolo riaccendono la miccia per il potente finale. Di tutt’altra pasta è “A mirror trick”, una graziosa ballad acustica, nulla più. Già con “Coffee in Neukölln” il tastierista aveva dimostrato il suo amore per la Germania che in “Seven seas” trova conferma con “Hamburg” e con “Chemnitz girl” due brani toccanti in modo diverso. La mini suite “Hamburg” mette in mostra una band compatta che sa destreggiarsi sia nei momenti soft e carezzevoli sia in quelli più tirati e rock. Raffinatissima la scrittura musicale di Zabbini per l’occasione. “Chemnitz girl” è, invece, una notevole e malinconica ballad. “Brain damage”, poco più di nove minuti, per circa metà del suo sviluppo è un semplice esercizio acustico, poi il brano si “impenna” assumendo connotazioni heavy con ritmiche forsennate del duo Eric Ombelli (batteria) e Francesco Caliendo (basso). Decisamente anonima “I should have learned to”; appena migliore “Moving on” che conferma le doti canore del nuovo singer, la vena heavy di Mazzuoccolo ma anche qualche limite melodico, stavolta. Il brano di chiusura, “The ones” (con la presenza di Durga Mc Broom, corista dei Floyd dal Momentary Lapse of Reason tour), ci riporta inevitabilmente ai finali tipici dei Floyd gilmouriani.
Come detto si tratta di un album senz’altro riuscito, di una band che ormai è una certezza di qualità anche se le ultime tracce qualche perplessità la lasciano. Probabilmente una durata più contenuta avrebbe dato maggiore omogeneità al progetto… ma sono dettagli…



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Valentino Butti

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