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BEAT CIRCUS These wicked things Innova Records 2019 USA

Recensisco con colpevole ritardo questo gruppo per me particolarmente interessante ma, a quanto vedo, non sono la sola a cui è sfuggita questa uscita, visto che al momento in cui scrivo manca ancora nel nutritissimo database di Progarchives. Sarà stato forse il distacco dalla più celebre Cuneiform ed il ritorno alla più piccola Innova, etichetta fondata dall’American Composers Forum che aveva curato nel 2004 l’uscita del debutto “Ringleader's Revolt”, ma certamente non è colpa della musica, che come al solito si conferma un grottesco ed attraente guazzabuglio di stili sapientemente miscelati, se ci siamo dimenticati dei Beat Circus.
Questo, che è il quarto album del gruppo, rappresenta l’episodio conclusivo di quella che il leader e polistrumentista Brian Carpenter ama definire una bizzarra trilogia gotica americana che esplora i miti a stelle e strisce del circo, della letteratura gotica del sud ed infine del vecchio West. “Dreamland”, il primo capitolo della saga, risale ormai al 2008. Se “Boy From Black Mountain”, il bellissimo episodio centrale, giunse subito nel 2009, per arrivare all’epilogo ci sono voluti ben 10 anni. La gestazione di quest’opera in effetti non è stata priva di imprevisti e inizia di fatto nel 2012 quando il Berkeley Repertory Theater chiese a Carpenter di scrivere la musica per “The Barbary Coast”, un nuovo spettacolo di Dominic Orlando, ispirato ad un libro di Herbert Asbury, che racconta di una vera storia di crimine ambientata nella San Francisco della corsa all’oro. Il protagonista è il leggendario bandito Joaquin Murieta che vuole vendicarsi dell’assassinio della moglie perpetrato da alcuni cercatori d’oro. L’opera non venne più finanziata e non andò mai in scena ma alcune canzoni, come ad esempio “Rosita” (presente in due versioni distinte), e parte del materiale finirono in questo album. Nel 2014 il gruppo entrò in studio e dal quel momento passò tantissimo tempo prima che l’opera potesse essere terminata.
Immagino che questa lunga gestazione, a cura di un musicista così preparato e puntiglioso come Carpenter, abbia impattato comunque positivamente sulla perfetta riuscita di un album così piacevolmente disomogeneo, caleidoscopico e bizzarro ma ricco di dettagli e di melodie che donano equilibrio ad un songwriting incredibilmente sfaccettato ma allo stesso tempo piacevolmente fruibile. Il gruppo rielabora con grossa fantasia le atmosfere e le sensazioni che derivano dalla cultura e dal folklore americano ed il risultato finale somiglia molto ad un vecchio luna park, in cui lente salite e rapide discese ci portano attraverso stanze degli orrori, trabocchetti e sbiadite ceroplastiche, labirinti di specchi deformanti e romantici tunnel dell’amore.
Il gruppo di base vede confermati, oltre al leader Brian Carpenter (voce, armonica, piano, campane, tromba, arpa giudaica, giradischi), Andrew Stern alle chitarre, Jordan Voelker (viola, backing vocals, sega), Paul Dilley al basso e contrabbasso e Gavin McCarthy alla batteria ed include inoltre, fra le new entry, le violiniste Abigale Reisman (Tredici Bacci) ed Emily Bookwalter (Ghost Train Orchestra) ed il multi-strumentista Alec Spiegelman (clarinetto, sax, flauto; Cuddle Magic) che avevano collaborato alla stesura di “The Barbary Coast”. A questo nutrito nucleo si aggiungono altri 13 musicisti che intervengono a fornire con la loro ricca strumentazione (che include fagotto, trombone, tromba, tuba, violoncello e percussioni) preziosi particolari alle 15 brevi tracce che compongono questa bizzarra avventura sonora.
“Murieta Last Ride” ci catapulta all’istante in questa sorta di nuovo stranissimo mondo. La traccia si apre in modo aspro e confuso con quella che sembra la straziata voce di Murieta che piange la scomparsa della sua Rosita. L’armonica disegna una melodia solitaria che sovrasta i tamburi rabbiosi, poi ecco l’arpa giudaica su uno sfondo di archi ed i fiati lugubri e jazzy ed infine le campane in un turbinio confuso che materializza tutta la sofferenza, la rabbia e la confusione del protagonista. Voci spente e ingarbugliate si intrecciano a questo strano collage di suoni folk cameristici. Questa introduzione caotica e dalla forma quasi incompiuta è una specie di preludio che ci porta alla title track, le atmosfere spettrali ed angoscianti si riversano finalmente in una forma di senso compiuto, la voce di Carpenter suona come rassicurante sullo sfondo di questo dramma dipinto in tonalità multicolori. Il ritornello cantabile ci àncora alla musica sempre scenografica, orchestrale, stravagante e in breve rimaniamo prigionieri di questo spettacolo. Molteplici sono gli stili incollati in questo guazzabuglio che non trova una definizione precisa. Ben riconoscibile è la profonda impronta cameristica di queste canzoni che prendono vita e movimento grazie ai vibranti accenti jazz. Ma la ricetta comprende anche il folk messicano e dei mariachi, con tracce di spaghetti western e scampoli musicali da colonna sonora cinematografica, oltre che tracce di avanguardia e persino un tocco di punk. Detta in questo modo la cosa potrebbe in effetti spaventare ma l’effetto finale di questi 45 minuti è quello di intrattenervi e divertirvi per cui non c’è spazio per momenti di noia o di stanchezza. Non mancano le ballad rilassanti, come “The Key”, dove riscopriamo le doti cantautoriali di Carpenter, i momenti di mistero ispirati dalla quasi Rio “Crow Killer”, i momenti di pura poesia come nella minimalista e “Childe Roland to the Dark Tower Came” e quelli horror che emergono dalla successiva “The Evening Redness in the West” una fuga che si disarticola in un guazzabuglio free.
Inutile perdersi in tante descrizioni, la soluzione più immediata ed intelligente è quella di provare con le vostre orecchie questa ricetta così insolita, garantita da un artista completo e fantasioso come Brian Carpenter… e magari fatelo sfogliando il coloratissimo booklet di diciotto pagine con le bellissime illustrazioni del disegnatore croato Danijel Žeželj compreso nella versione CD.



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Jessica Attene

Collegamenti ad altre recensioni

BEAT CIRCUS Dreamland 2008 
BEAT CIRCUS Boy from black mountain 2009 

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