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CIRCLES END Hang on to that kite Karisma Records 2004 NOR

Persino in Norvegia si può trovare un po' di tepore e si possono respirare atmosfere nordiche tutt'altro che claustrofobiche ed opprimenti. Il secondo album dei Circles End non solo non tradisce la bellezza del promettente debutto, ma si fa apprezzare per una maggiore compiutezza e definizione dello stile. Le atmosfere mantengono una tipizzazione inconfondibilmente scandinava ma sono tratteggiate con tonalità morbide e sfumate; i suoni sono arrotondati e talvolta carezzevoli. La dinamica delle canzoni è abbastanza complessa ma mai frastagliata: vi è il costante desiderio di includere elementi melodici e riff accattivanti che hanno il ruolo di filo conduttore e che rendono l'ascolto rassicurante ed agevole. Le composizioni sono talvolta impreziosite da velatissime impressioni che ci riportano al Canterbury più melodico e minimale dei Caravan, elementi questi che, lo ribadisco, vengono inseriti in maniera molto diluita e delicata. Altre volte emergono, sempre in maniera soft, suggestioni frippiane che, in contesti quali quello del brano intitolato "Too few feet" (il cui ritornello di chitarra è praticamente uguale a quello di "Elephant talk"), si manifestano in maniera più esplicita. Qualche delicato inserto di archi richiama ancor più da vicino gli Anekdoten, rimanendo comunque su terreni dai profili più dolci e tutt'altro che accidentati. Il cantato è uniformemente appiattito su timbriche basse ma risulta tuttavia abbastanza gradevole. Si discosta un po' dal lotto la traccia strumentale di chiusura dal movimentato ed orecchiabile andamento jazz/fusion e dagli aromi vagamente sudamericani con un leit motiv che si ripete ciclicamente con piccole varianti fino alla dissolvenza. Un album azzeccato, lineare e realizzato con accuratezza; colonna sonora ideale per un piacevole viaggio in Scandinavia senza sorprese e senza scossoni.

 

Jessica Attene

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