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CZAR Czar Fontana 1970 (Akarma 2005) UK

Gradita ristampa per un album fondamentale del ricco sottobosco proto-progressivo inglese dei primissimi anni ‘70: l’opera unica degli Czar, quartetto dalla dichiarata ispirazione crimsoniana (ma pressoché contemporaneo agli esordi della band di Robert Fripp) formatosi ad Enfield nel Middlesex dalle ceneri dei Tuesday’s Children, nome di rilievo della scena psichedelica.
Le sonorità sviluppate nelle sette tracce (di cui sei sono firmate dal bassista Paul Kendrick), come spesso avviene avendo a che fare con band del periodo, risentono ancora di ovvie influenze rock-blues, specialmente nelle escursioni solistiche della chitarra elettrica di Mick Ware, ma gli influssi classicheggianti apportati dalle tastiere di Bob Hodges e in special modo il suono del suo onnipresente Mellotron (un Mk.II preso in prestito da Graham Bond!) elevano la proposta verso territori sinfonici già compiuti e la rendono invidiabilmente fresca, pur senza pervenire alle vette eccelse raggiunte dai Gracious o dagli Spring lo stesso anno.
Proprio i Gracious balzano alla mente fin dalle prime note del Mellotron di “Tread Softly on my Dreams”, forse per le insolite timbriche di ottoni, similitudine rafforzata dal brano di chiusura “A Day in September”, mentre la voce un po’ rustica del chitarrista è accostabile a quella di Ian Anderson.
“Cecelia” potrebbe invece essere uscita direttamente da “Abbey Road” dei Beatles, altro album coevo: l’impegnativo paragone è suggerito dall’uso del clavicembalo e dai cori; la breve “Follow Me” è un’apprezzabile incursione nell’easy listening mentre il suono un po’ lascivo della slide-guitar caratterizza l’orecchiabile “Beyond the Moon”, ancora legata a certo pop psichedelico.
I Procol Harum sono invece un buon metro di paragone per la ballata “Today”, nobilitata dagli archi del Mellotron e dalla celesta e soprattutto per “Dawning of a New Day”, specialmente nell’inciso cantato a più voci e nell’accostamento organo Hammond/chitarra blues.
Concludo con il consiglio di fare vostro questo gioiellino che forse può suonare un po’ datato e ingenuo alle orecchie di molti ma che trasuda sincerità e passione da ogni solco (perdonatemi il cliché piuttosto abusato!); da evitare invece se si cercano esclusivamente produzioni perfettamente levigate e si antepone la forma alla sostanza.

 

Mauro Ranchicchio

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