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THE CARPET KNIGHTS According to life… Transubstans 2009 SVE

La ricetta del retro-rock prevede ingredienti ormai codificati in un genere a se stante, tradizionali ma rielaborati secondo un’ottica più o meno moderna eppure pericolosi da mettere insieme a causa del rischio sempre in agguato di cucinare un piatto insipido. Di solito lo chef assembla un sound che prevede una base di chitarre fumanti ad alto volume, aggiunge una salsa di organo Hammond, condisce con una voce che ricorda, più o meno fedelmente, quella di qualche grande singer del passato, rifinisce con un pizzico di psichedelia e/o space-rock, insaporisce con spezie a base di flauto, chitarre acustiche, mellotron e minimoog e cuoce a fuoco lento con una produzione dai toni vintage-quanto-basta-ma-senza-esagerare. Il risultato è spesso ottimo, ha un sapore forte e deciso, fatto con aromi conosciuti da decenni. Altre volte invece il piatto è scotto, solo una pallida imitazione delle antiche ricette che hanno fatto la storia.
Gli svedesi The Carpet Knights si adattano quasi alla perfezione al paragone culinario appena illustrato, interpretando la ricetta secondo le loro esigenze, eliminando quindi alcuni ingredienti ma aggiungendone qualche altro. “According to life…” è il secondo album del gruppo svedese (alcuni membri fanno parte anche degli Oresound Space Collective) e si presenta con una veste grafica ad ispirazione botanico-fantastica prodotta da Bengt Böckman, famoso per aver realizzato alcune copertine dei Passport verso la fine degli anni settanta, al tempo della virata di questi verso un genere fusion convenzionale.
Come suona l’album? Se dovessimo continuare a descriverlo paragonandolo al cibo potremmo dire che ha il sapore uno di quei pranzi che si possono gustare in qualche trattoria a conduzione familiare, dove si va spesso perché si conosce la gestione e si e sicuri di mangiare bene senza spendere troppo. Niente cucina d’alta classe quindi, né ambienti raffinati, ricca carta dei vini o servizio impeccabile. E’ un buon album, insomma, pur non facendo gridare al miracolo. I riferimenti principali sono quelli dei Led Zeppelin, dei Black Sabbath e degli Uriah Heep, integrati alla perfezione e mescolati con la giusta dose di psichedelia. Non ci sono tastiere, l’ossatura è costituita dalle due chitarre che macinano overdrive e fuzz con un suono scuro, arricchito spesso da leslie simulator, phaser, echi e riverberi dal sapore ovviamente molto vintage. Il risultato è gradevole e il rischio dell’appiattimento sonoro è scongiurato. Manne Nilsson, oltre a cantare con una voce che spesso può ricordare, a scelta, una specie di Glenn Hughes accordato un’ottava sotto o niente meno che lo scomparso Ronnie Van Zant dei Lynyrd Skynyrd, suona il flauto. Non aspettatevi eccessivi riferimenti ai Jethro Tull però, sia perché la musica proposta dai cinque svedesi ha poco a che fare con essi, sia perché le parti di flauto sono abbastanza semplici, costituite per lo più da linee melodiche in accompagnamento ai riff di chitarra oppure di introduzione o nei bridge delle canzoni.
I brani dell’album spaziano tra lo hard rock vario e melodico di “Headcase”, “If soon” e “Magical space-style” e il suono più cupo e duro di “Gaze through the days I’ll hide”, “Without a past”, “Cosmical Mind” e “Why am I”, tutte divise tra atmosfere alla Black Sabbath e suggestioni psych e space. I dieci minuti conclusivi di “Forever is a long time” rappresentano un po’ il riassunto di “According to life…”, e chiudono un disco ben realizzato, intriso di suoni vecchi e scontati ma rassicuranti come l’insegna della vostra trattoria preferita.



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Nicola Sulas

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