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COPERNICUS Nothing exists Nevermore/Ski Music Division 1984 (2010 Moonjune Records) USA

Nel 2009, in concomitanza con l’uscita di “Disappearance”, preannunciammo l’intenzione della MoonJune di procedere alla ristampa dell’intera discografia di questo artista newyorkese, su supporto digitale. Questo è il primo lavoro, risale al 1984 ed è quello che ha dato il via alla sua avventura. Un’avventura fatta di lunghe liriche recitate su musica di varia natura ed estrazione. Padrona è la voce di Copernicus che espone le proprie tesi intimistiche e paradossali accompagnata da basi strumentali, spesso scollegate dalla stessa esposizione vocale. Il tutto assume il sapore dell’avanguardia teatrale dove il narratore declama le sue storie e la band, un po’ in secondo piano, scorta e, ogni tanto, segna con accenti in base all’oggetto narrato. Difficile definire “musicalmente” la prestazione di Copernicus che a tutti gli effetti non fa nulla di musicale, infilando esclusivamente le proprie parole sulle basi. Queste basi invece hanno delle valenze diverse, variando (credo) in maniera piuttosto casuale, atteggiandosi difformemente di volta in volta lasciando, senz’altro, passi interessanti. Ritengo che le variazioni siano casuali perché gli argomenti trattati testi sono mediamente costanti, l’accompagnamento quindi lo vedo scorrere in maniera totalmente indipendente. In fondo ritengo che Copernicus avrebbe potuto declamare qualsiasi cosa su qualsiasi diversa base.
I riferimenti musicali che troviamo sono piuttosto chiari e si va dalla funky disco alla Barry White dell’opener “I Won’t Hurt You” agli accenni crimsoniani periodo “Island” di “Blood” pur con inserimenti industrial-noise, ai zappismi bozziani di “I Know What I Think”, agli sbotti floydiani alternati a varie spinte hard di “Quasimodo” e “Nagasaki”, e poi acida e furibonda psichedelia, elettronica, dub free form, ecc. ecc.
Questo per dire che non c’è assolutamente nulla di nuovo, ma tutto è abbondantemente sentito e risentito, quindi se le parole di Copernicus sono la cosa che maggiormente vi affascina, questo è il vostro disco. Io ne sono uscito abbastanza tediato, ma già dicemmo di quanto questo stile “tedioso” sia solo il risvolto di un duplice aspetto nel quale l’autore, nel tentativo di allontanare (o avvicinare) l’ascoltatore abbia, alla fin fine, l’effetto contrario.



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Roberto Vanali

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