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COLORSTAR colorStar Megadó Kiadó Kft 2009 UNG

I colorStar nascono a Budapest nel 1996 con il dichiarato intento di fondere concezioni musicali opposte: musica strumentale e vocale, acustica ed elettronica, organica e sintetica in un calderone che avrebbe dovuto garantir loro l’impossibilità di essere etichettati e classificati. L’album d’esordio "Heavenicetrip!", uscito nel 1998 fu subito notato in patria ed accostato alle produzioni degli Ozric Tentacles, dei primi Porcupine Tree e degli Hawkwind, grazie alle componenti stilistiche psichedeliche e space rock. Il successo dell’album garantirà loro una discreta attività live nei festival ungheresi (in una terra ultimamente molto incline al genere) e qualche apparizione all’estero, permettendo loro di sfruttare il momento propizio per incidere altri due album: "Via La Musica" nel 2001, molto influenzato dal pop elettronico e dalla world music e il successivo "Komfort" nel 2004, album mirato ad un pubblico più vasto grazie ad inflessioni trance, techno e funky (tanto Eat Static quanto Ozric Tentacles, per intenderci!).
Il gruppo si ripresenta a cinque anni dall’ultimo lavoro in studio con una formazione rinnovata, avendo perso il bassista storico István Batahoczky – qui sostituito da musicisti ospiti - ed ingaggiato un tastierista di ruolo, configurandosi quindi come quartetto voce/chitarra, chitarra, tastiere e batteria; ma la ricchezza del suono di quest’album è garantita da un vero… esercito di invitati, che aggiungono alla ricetta di base gli strumenti più disparati: violino, fisarmonica, dulcimer, tromba, conga, ottoni, archi e addirittura il Budapest Amadeus Choir. Il lavoro è dedicato al pensiero del filosofo inglese Alan Watts, il maggior divulgatore del buddhismo Zen in Occidente
Il risultato è un album sorprendentemente organico, in cui prevale decisamente la componente umana rispetto a samplers, sequencers e beat elettronici (pur ben presenti), risolvendo l’eterno dualismo rock/”musica da club” in netto favore del primo, fondendo perfettamente sentori di folk est-europeo con moderne sonorità space, una ricetta simile a quella dei connazionali Korai Öröm e Trottel Stereodream Experience.
“Forog a világ” (“Il mondo gira”) apre le danze a suon di chitarre riverberate, fisarmoniche, un piano ragtime e strani miagolii, ed è incentrato su una melodia vocale che lo rende un potenziale singolo. A chiudere il lavoro troviamo invece “Angyal”, brano aggraziato con il microfono affidato alla voce dell’ospite Natalie Diminovski e caratterizzato da un’andatura quasi da carillon. Incorniciati da queste due parentesi atipiche, troviamo altri sette brani di media durata, in cui sono presentate in successione le varie sfaccettature del suono colorStar: le percussioni programmate e il basso pulsante di “Cold winds” che coniuga in modo bizzarro sonorità trip-hop con violini e trombe, il reggae-dub di “Chamber of heart”, la convenzionale struttura canzone della rarefatta “Roam the land” e della latineggiante “Sudden Love”, le chitarre ipnotiche che disegnano gli arpeggi in loop di “System breaks down”, l’escursione siderale tra Pink Floyd e Orb di “Origination” in cui i sintetizzatori la fanno da padroni.
Pur tenendo conto che le soluzioni utilizzate e le idee non sempre si distinguono per originalità e innovazione e che la musica potrebbe occasionalmente sconfinare in ambiti troppo sintetici per chi identifica lo space rock con sonorità anni ’70, consiglio a chi non fa troppo caso alle barriere tra i generi musicali di non prendere sotto gamba questo gruppo e in particolare questo loro quarto lavoro.



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Mauro Ranchicchio

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