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MARCELLO CAPRA Fili del tempo Electromantic Music 2011 ITA

La storia musicale di Marcello Capra inizia molto, molto lontano. Pensiamolo ragazzo a metà anni ’60 nelle prime formazioni beat e poi agli inizi dei ’70 con i Procession a masticare progressive, poi pensiamo ad una carriera varia, lunga, fatta di dischi, concerti, collaborazioni e, su tutto, uno studio personalissimo e incredibilmente approfondito del suo strumento: la chitarra. E ora pensiamolo negli ultimi anni con l’approdo alla Electromatic e in questo 2011 con l’uscita di “Fili del tempo”. Detto questo, chiedo scusa per aver fatto scorrere una carriera così lunga in quattro righe, atto certamente irrispettoso e solo appena indicativo dello spessore artistico dell’autore, ma lo spazio è questo.
Per il lavoro in disamina, Marcello Capra ha pensato di corredare le proprie composizioni con pochi elementi, intanto l’amico Beppe Crovella alle tastiere e poi la bravissima Silvana Aliotta, che ricordiamo alla voce dei Circus 2000. Ovviamente, neppure da sottolineare, protagonista del disco è il monumentale lavoro alle chitarre dell’autore e, sia le parti vocali, sia quelle di tastiera, riempiono un contenitore già di per sé ricco e ben pensato.
La tecnica di Capra è sopraffina, pulita, personale e ricca di spunti: blues, folk, progressive, psichedelia, suoni sudamericani, qualcosa che riporta alla costa occidentale degli USA, alle pianure e agli estuari del sud e qui e là anche della tradizione appalachiana e alle coste del Mediterraneo. Tutto giocato con molta spontaneità, senza strani risvolti e senza artefatti. L’arzigogolo è la chitarra che insegue se stessa e ogni corda, pizzicata, percossa, ribattuta, è filo del tempo, tessuto, misurato e tagliato dalle memorie, senza che le povere Moire possano dire la loro. Ogni filo ripercorre un episodio, riporta nel passato, agli albori musicali dell’artista, ai suoi passi, facili e difficili, alle cose che lo hanno appassionato, alle sensazioni vissute e mai dimenticate, alle scelte condivise, ai sogni e se tutto questo lo si trova durante lo scorrere del filo e scopriamo che il suo inizio e la sua fine coincidono. E il vecchio diventa nuovo, il passato diventa presente e il ricordo, anche il più antico, risulta fresco. I dieci brani rimarcano queste sensazioni, ora omaggiando un grande artista come Astor Piazzolla, con Crovella che mutua la tastiera in un dolente bandoneon (“Astor”), ora rifacendo il verso ai Cream di “I’m so glad”, ora richiamando l’indelebile ricordo dei nonni, con la rutilante “Un sogno lucido”, miglior brano del lavoro con un notevole incrocio di suoni tra gli arpeggi di Capra e i sinfonismi di Crovella, ora riproponendo i temi dei tempi del progressive, in una minisuite per chitarra giustamente chiamata “Procession”, ma anche viaggiando tra tempi e tempi sudamericani nell’omaggio a Irio De Paula, “Irio” appunto.
Abbastanza difficile dare un giudizio secco e super partes sulla riuscita del disco, composto da porzioni indubbiamente affascinanti. Però quando si va verso temi troppo blueseggianti (ammetto un’idiosincrasia personale) trovo il tutto un po’ pesante, ad esempio la seconda parte di “I’m so glad” la digerisco proprio male. Ecco, certe parti si staccano parecchio da quello che è il mio gusto personale: alcune parti cantate, alcuni momenti strumentali che richiamano apertamente il blues e la sua tradizione, però nel suo complesso è impossibile non rimanere colpiti dalle sensazioni e dai colori dei fili tessuti in questo telaio. Giudizio quindi positivo, ma segnalo comunque che non si tratta di un disco progressive tout-court.



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Roberto Vanali

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