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CARPATHIA PROJECT II Rock Werk Records 2011 UNG

La creatura Carpathia Project nasce nel 1998 dopo l’incontro tra il violinista/chitarrista Tamás Ángyán ed il chitarrista Zsolt Daczi. L’anno seguente, assieme ad altri validissimi musicisti, il duo esordiva con un album strumentale omonimo in cui si fondevano elementi estrapolati dalla musica balcanica, iberica, dal prog rock, prog metal e jazz. Una fusion ante litteram particolarmente riuscita, che faceva sperare in un immediato successore. In realtà i nostri se la prendono comoda, impegnati anche in altri progetti, ed iniziano a lavorare sull’idea di un secondo album nel 2002. Nell’arco di un’annata vengono composti diversi pezzi, a cui fa seguito un’attenta selezione. Dopo aver registrato le parti di basso e batteria negli studi di Daczi, i due si incontreranno solo nel 2006 per quelle di chitarra e violino. Ma quando il lavoro ormai è quasi in dirittura d’arrivo, ecco che accade l’imponderabile: il 6 agosto 2007, Zsolt Daczi muore di cancro. A quel punto, dopo il primo plausibile momento di sbandamento, Ángyán (che durante l’anno pubblica il lavoro solista “Mammut”) prende la decisione di ultimare l’album in memoria dell’amico. Per alcune parti mancanti viene chiamato Tamás Mohal, mentre altre vengono eseguite dallo stesso Àngyán. Finalmente pronto nel 2008, l’unico fondatore del gruppo non trova un’etichetta che possa distribuire la nuova release. Così, decide di pubblicarlo per proprio conto.
L’iniziale “Legend of Scythia” è sicuramente il manifesto sonoro di questo secondo capitolo: una sterzata decisa verso uno straripante bombastic sound, aperto da delle partiture di violino che ricordano parecchio i giapponesi Twin Tail, a cui però si aggiungono, oltre agli assoli distorti dello strumento ad archetto, anche quelli di chitarra. Un richiamo esotico innestato su riff potenti che si ripete nella seguente “Mountain High”, a cui fa anche seguito un assolo di chitarra acustica.
“Speedy Gonzales” è un breve e simpatico esercizio metal, mentre “Tumble Weed” si affaccia tra acustica, flauto e violino, continuando nel suo fresco incedere fino alla fine.
Con “Hungarian Hyperboloid” si ritorna ai riff pesanti accompagnati da evoluzioni etniche e da un gran basso pulsante, divenendo una specie di versione metallica degli armeni Artsruni. Si passa così all’esaltante “B3”, che sa tanto di Vinnie Moore in salsa balcanica, e a “Testament” (pare fatto apposta…), contrassegnata da delle soluzioni che, pur mantenendo assolutamente il marchio dell’originalità, a volte fanno venire in mente i Dixie Dregs.
“Colors of Love”, in cui presumibilmente non c’è più Daczi (non vi è indicazione nelle note di copertina), all’inizio richiama addirittura Neil Zaza o Andy Timmons, per poi passare direttamente ad un guitar-hero dall’inclinazione blues come Michael Lee Firkins. Ciò avvalorerebbe la presenza di Tamás Mohal, che può essere ascoltato proprio in compagini locali dedite a questo genere. Belle poi le armonizzazioni col violino, ma si ha la netta sensazione che da qui inizi completamente un’altra storia. Un nuovo racconto che forse potrà essere sviluppato in un successivo capitolo, perché l’album è praticamente terminato. Si chiude infatti con “Birds of Mahavisnu”, lapalissiano tributo alla leggendaria band di John McLaughlin, sicuramente meno spigoloso e caotico dell’originale.
Questa seconda release può essere ordinata contattando Ángyán direttamente sulla sua pagina di Facebook. Sembra che certe peculiarità che rimandavano chiaramente a determinati modelli siano state un po’ lasciate per strada, a favore di questa timbrica robusta che comunque denota una maggiore personalità, anche se le sfumature sono minori. Se vi è piaciuto il primo, apprezzerete anche il secondo. Anche se nel finale, come detto, la musica, per forza di cose, registra un cambiamento. Sarà l’inizio di qualcos’altro?



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Michele Merenda

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CARPATHIA PROJECT Carpathia project (Ángyán és Daczi) 1999 

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