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CAROL OF HARVEST Carol of harvest Brutkasten 1978 (Prog Temple 2013) GER

Un album tedesco che non suona per niente krauto e che ha fatto letteralmente impazzire i collezionisti. All’epoca questi ragazzi, ancora in età scolastica, affidarono il loro esordio a una piccola etichetta indipendente che ne sfornò appena 200 copie. Da lì all’oblio il passo è stato breve. L’abbandono del tastierista Jürgen Kolb e il disinteresse del pubblico furono infatti causa di precoce scioglimento, nonostante la bellezza della musica: un distillato di psichedelica e folk dai riflessi anglosassoni, dominato dalla penetrante voce di Beate Krause. Nonostante la giovane età, Beate, all’epoca appena sedicenne, dimostra già carattere e maturità e sfoggia una grazia paragonabile a quella di Sandy Denny o a quella di Joni Mitchell. Il nome Carol Of Harvest fu preso da una poesia del poeta americano Walt Whitman che inizia così: “A song of the good green grass!”… e un edificio totalmente immerso nel verde era il luogo dove la band passava il suo tempo, suonando e componendo. Questa bella immagine viene ricordata anche dalla copertina verdastra, con l’erba inumidita dalla rugiada in primo piano, per la quale fu utilizzato lo scatto fotografico di un amico, catturato al Nymphenburger Park di Monaco. La musica è per lo più frutto della fantasia di Axel Schmierer al quale, come egli stesso ricorda in una recente intervista, bastava imbracciare la sua chitarra perché accordi, poesia e melodie iniziassero a fluire in modo spontaneo e il feeling che si creava quando suonava con gli altri era di pura estasi, elemento questo che traspare evidentemente dalla musica, dalle tonalità buie ma oniriche e piene di fascino, qualcosa che in definitiva non facciamo difficoltà a paragonare ai Mellow Candle. Gli altri punti di riferimento li ricorda sempre Axel e comprendono Camel, Pink Floyd, Reinassance e Clannad, che effettivamente possiamo ritrovare a dosi variabili in questo album.
Il lato A del vinile era dominato dai sedici minuti di “Put on your Nightcap”, una traccia che rievoca immagini di guerra vista in contrasto con la scialba vita di un uomo che ogni sera si addormenta col suo cappello da notte non avendo altri pensieri che per se stesso. Un effetto che imita il suono del vento si ode subito in lontananza ispirando sentimenti di desolazione e rassegnazione e poi la chitarra arpeggiata si fa strada piano piano introducendo la voce profonda di Beate e la musica, seppure acida e magnetica al punto giusto, al suo cospetto è solo uno sfondo incantato che fornisce la giusta atmosfera. Molto belle sono le aperture strumentali che appaiono estremamente dilatate e quasi surreali nel loro lento incedere, con abbellimenti di Moog penetranti e assoli di chitarra Gilmouriani. D’effetto anche le inattese accelerazioni che donano movimento e contrasto a un brano in definitiva semplice ma affascinante. La breve “You and me”, che chiudeva il lato A, e “Treary Eyes”, sul lato B, sono delle semplici e graziose canzoni d’amore, per chitarra acustica e voce. Di ben altro spessore è la conclusiva “Try a Little Bit”, scritta in occasione della tragica morte di un amico. Anche qui si possono apprezzare bei contrasti con momenti meditativi, dominati dalla chitarra arpeggiata e le tastiere che si addensano sullo sfondo come banchi di nebbia, rallentamenti ipnotizzanti e repentine scosse elettriche con una chitarra ruvida e piacevolmente distorta e synth finalmente in primo piano. Manca alla disanima l’oscura ballad “Somewhere at the End of Our Rainbow”, collocata in apertura del lato B, anche se, come ogni ristampa che si rispetti, troviamo anche tre interessanti bonus con inediti registrati dal vivo nel Marzo del 1978 a Langenzenn, una graziosa località della Baviera. A conclusione, particolare non da poco, la qualità sonora è buona e l’album è stato opportunamente rimasterizzato. Non mi lascerei sfuggire l’occasione di assaporare questa perla oscura ed incantevole che ha finalmente la sua occasione di vivere una seconda vita.


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Jessica Attene

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