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CHILDREN IN PARADISE Morrigan REF 2016 FRA

Quando si parla di musica proveniente dalla Bretagna si pensa immediatamente ad artisti del calibro di Alan Stivell, Dan Ar Braz, Tri Yann, Yann Tiersen, Gwendal e a quel vivace panorama degli anni ’70 legato alla tradizione e al folk. I Children in Paradise invece, pur affrontando nei loro dischi i miti e le leggende celtiche, si allontanano parzialmente da questo tipo di sonorità tipica della loro terra natia. Il folk viene sì inserito qua e là durante l’ascolto, soprattutto quando vengono utilizzati le cornamuse e il Carnyx (uno strumento a fiato della tradizione celtica), ma la band preferisce affrontare un percorso più ruvido e tortuoso, dalle atmosfere spesso anche abbastanza ombrose. Colpisce molto il modo in cui i Children in Paradise riescono a combinare suoni heavy ed una delicatezza di fondo raffinata, rappresentata al meglio dalla voce di Dam Kat, che appare a tutti gli effetti come leader del progetto, essendo autrice di musica e testi. Sia ben chiaro che non stiamo parlando della solita alternanza tra melodie e dissonanze: il discorso di questo gruppo, infatti, è basato su una traccia sonora di base fatta di chitarre ruggenti e ritmiche robuste, alle quali si contrappongono poi la soave voce femminile e qualche intermezzo acustico di una certa morbidezza. Tutto ciò avviene spesso anche in uno stesso brano. Prendiamo, ad esempio, “I’m falling”: parte quasi come una ballad malinconica, poi l’entrata di una voce maschile vicina al growl e la chitarra elettrica distorta e metal cambiano completamente le carte in tavola. “Morrigan”, in realtà, regge principalmente sulla sequenza di tracce che va dalla numero 4 alla 7, che, legate l’un l’altra senza soluzione di continuità, vanno a formare la suite “I will follow you”, compatta e potente, attraverso la quale emergono in pieno le caratteristiche musicali di questi francesi. Prog e metal vanno a braccetto, tra cambi di tempo, cenni sinfonici ed una certa immediatezza delle parti cantate. Tutto ben costruito e tecnicamente valido, anche se poi ad ascolti ripetuti si avverte sempre di più l’impressione che manchi qualcosa, che non si possa parlare di album interamente convincente. Sarà che a volte i contrasti descritti sono così netti, sarà che in brani di non alto minutaggio i musicisti provano a mettere troppa carne al fuoco, fatto sta che sembra che qualcosa non vada. Al punto che viene abbastanza naturale chiedersi come poteva essere migliore il lavoro con piccoli accorgimenti. Non sorprende che alla fine il brano che maggiormente colpisce sia “Stay”, quello più leggero, in cui gli strumenti acustici contribuiscono a dare quel magico tocco folk che manca nella maggior parte del disco e che si sviluppa con un crescendo davvero emozionante. Ed è proprio quando viene a galla questo buon gusto che la musica riesce a catturare maggiormente l’attenzione e a rapire l’ascoltatore, ma, come accennavamo prima, siamo di fronte ad un lavoro che vive spesso di contrasti e di accostamenti un po’ azzardati. Provate a immaginare a quanto fatto dai Karnataka, ma in un contesto un po’ più gotico, in cui risaltano gli umori degli ultimi Anathema, dei Porcupine Tree post “Lightbulb Sun” e dei Gathering di “Mandylion” ed ecco che potrete avere un certo quadro di quanto contenuto in “Morrigan”. A voi in base ai vostri gusti, a questo punto, decidere se dare o meno una chance ai Children in Paradise.



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Peppe Di Spirito

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