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CEREUS Dystonia CeDeus Records 2018 POL

Dopo un EP ed alcuni singoli, i polacchi Cereus pubblicano il loro full-length d’esordio, confermando la propensione prog-metal nazionale. Si tratta di un approccio che anche in questo caso risulta tutt’altro che solare, a suo modo anche cinematografico, permeato com’è di malinconia ad effetto. Il quintetto si muove comunque verso il post-metal, ricordando compagini come gli americani ISIS (voce a parte, per fortuna), ma anche i Russian Circles, i Dream The Electric Sleep, i Tool e soprattutto gli Earthside. Per gli amanti del prog-rock qua c’è ben poco, per non dire nulla. Sicuramente si va a “progressivizzare” un determinato stile grazie a delle linee di basso e soprattutto di batteria molto complesse; anche il cantato è ben impostato, robusto e senza isterismi, ma arrivati a questo punto ci si potrebbe anche fermare. Se di assoli si vuol parlare, si tratta per lo più di riff e riverberi messi in primo piano per ricreare il carattere distonico di cui parla quello che pare essere una sorta di concept. Il Cogito ergo sum cartesiano viene qui celebrato con tre pezzi intitolati con ciascuna parola del famoso adagio filosofico; in realtà potrebbe trattarsi di un unico brano, diviso però lungo l’intero lavoro. Il problema è che i pezzi dell’intero album si somigliano tutti quanti, quindi si potrebbe benissimo trattare di un solo pezzo reso con differenti sfaccettature. In quella che vuole essere una difficile ricerca della ragione esistenziale, c’è forse un brano in particolare che si rende più rappresentativo: si tratta di “Abyss”, in cui un fantoccio apparentemente inanimato ha la medesima sensibilità degli esseri umani e rivolge una dolorosa preghiera al suo creatore, che ovviamente non viene udita e lascia il protagonista nella disperazione. Ecco, questa è una traccia cantata e suonata con un trasporto differente, in cui la cupa teatralità non è semplice appariscenza stilistica ma interpretazione autentica. Per il resto, leggerete storie di ribellione e di sfida con se stessi, magari scritte bene, anche se a volte i brani si trascinano troppo per le lunghe. Occorre segnalare comunque “Kraken King”, che anche ai diretti interessati in fase di stesura ha fatto venire in mente la serie televisiva “Il Trono di Spade” e che descrivendo il desiderio malato di potere assoluto porta a delle variazioni sul tema, abbastanza “metallico”; poi ci sarebbe anche la conclusiva “Ghost”, nata come una specie di scherzo in studio, dimostrandosi però una interessante ambientazione per un discorso riguardante la vita dopo questa esistenza terrena. Beh, questo è tutto. Improbabile che in futuro ci siano dei discostamenti stilistici, quindi si saprà quasi sempre cosa aspettarsi dai Cereus.



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Michele Merenda

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