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CHROMATIC ABERRATION The trial of the king autoprod. 2021 USA

Senza dubbio l’evoluzione digitale ha agevolato il lavoro di registrazione e diffusione di innumerevoli prodotti musicali anche di modesta qualità. E’ altrettanto vero, però, che questo cambiamento ci ha permesso di entrare in contatto con realtà di valore molto elevato che, magari per problemi economici o di distribuzione del supporto fisico (sia esso Lp o Cd), si sono visti costretti al solo formato digitale, nella speranza che qualche riscontro positivo permetta poi la pubblicazione ufficiale dell’album. E’ questo che, per ora, è successo ai Chromatic Aberration, un duo di Cleveland composto da Joe Rubio (chitarre, basso e tastiere) e da Steve Chait (batteria e cori) che con “The trial of the king” giungono alla seconda pubblicazione digitale. L’album, che segue di tre anni “Nomad” (composto ed eseguito dal solo Rubio), dimostra subito una maggiore maturità compositiva della “band”, seppur non sia ancora esente da palesi difetti. Per l’occasione sono aiutati da due singers, nelle figure di GADD (voce solista in “Lord of the city” e nella title track) e del “nostro” Simone Baldini Tosi (Moongarden) in “Approaching storm”. Da notare anche il cameo di Brett Kull (Echolyn) alla chitarra acustica nello strumentale introduttivo “Fortune hunter”. Il “lampo” che mi ha portato a scoprire i C.A. è stato un semplice commento in cui mi sono imbattuto in rete che ne descriveva il sound come se, in un universo parallelo, Geddy Lee ed Alex Lifeson (dei Rush…) fossero stati membri degli… Yes! Insomma, bisognava investigare…
La breve traccia iniziale “Fortune hunter” appunto, ricorda in effetti, e non poco, i Rush del periodo più progressive con una chitarra ficcante, un basso possente ed una batteria potente. Meritava, forse, un minutaggio maggiore. Peccato. “Lord of the city” è la traccia più avvincente: sempre con tinte forti e con melodie azzeccate, malgrado la voce di GADD non sia eccezionale (forse anche per la qualità della registrazione…). I riff di chitarra sono sempre fantasiosi, benché chiaramente debitori di Lifeson e molto bello, per concludere, il “solo” di synth nello spumeggiante finale. “Approaching the storm” si muove sinuosa per un paio di minuti, prima che la sezione ritmica e la chitarra riprendano il comando delle operazioni. Si torna ben presto ad atmosfere più rarefatte, perfette per l’interpretazione di Baldini Tosi, e poi si risale su ritmi incalzanti fino alla naturale conclusione. La chitarra acustica apre “The incidence of memory”, bello strumentale dai colori tenui e delicati, in cui il duo si muove con convinzione e ricercatezza. I 21 minuti della title-track chiudono alla grande la raccolta. Suite molto bella ma non esente da qualche piccola imperfezione. L’impronta Rush è sempre dominante (periodo “Hemispheres” tanto per intenderci) con il basso davvero à la Geddy Lee e l’alternarsi delle soluzioni elettriche e quelle acustiche davvero di qualità. Poi, intorno al quinto minuto, il brano sembra terminare per poi ripartire altrettanto improvvisamente con ritmiche intricate, un po’ troppo “autocelebrative”, ma che dimostrano il talento di Rubio e Chait. L’impressione è, però, che in alcuni punti il brano scorra in maniera poco fluida e che le varie sezioni siano un poco “appiccicate” per allungare il pezzo, quando, per una volta, un po’ di concisione avrebbe certamente giovato. Ne risente così pure l’aspetto melodico, decisamente penalizzato malgrado il cantato (discreto…) non sia comunque eccessivo. Imperfezioni che, crediamo, potranno senz’altro essere limate in un prossimo futuro, perché le qualità strumentali sono decisamente ottime.
Speriamo, dunque, che “The trial of the king” possa vedere la luce anche in un formato fisico che rappresenterebbe il giusto premio per una “aberrazione cromatica” davvero notevole. Continua, pertanto, la serie di interessanti gruppi made in USA dedicato a “quelli che… gli americani non sanno fare prog…”. Frase dalla quale ci dissociamo con convinzione.



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Valentino Butti

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