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DOMAIN OF DREAMS Domain of dreams autoprod. 2011 BUL

La nascita dei bulgari Domain of Dreams risale all’aprile del 1987, seguendo la scia di una pletora di nuove rock e metal bands. Dopo aver cambiato un paio di nomi, si fanno conoscere principalmente col monicker Solaris. Del nucleo originale, ad oggi, sono rimasti i fratelli Daniel e Plamen Radev, rispettivamente voce e chitarra solista, assieme al bassista Emil Angelov. A dar loro manforte ci sono il batterista Ognian Kiossovski (anche ingegnere del suono) ed il secondo chitarrista Ivan Popov (chitarra solista dei connazionali Music Idol).
Sempre alla ricerca di soluzioni originali, il “Dominio dei Sogni” ha esordito nel ’97 con “Oligovremie”, seguito addirittura dopo dieci anni da “Jelaia”. In questo terzo album omonimo troviamo comunque un ulteriore componente della famiglia Radev, Ivan, autore delle liriche.
Nonostante il gruppo si auto proponga come una prog metal band che annovera nel proprio stile elementi riconducibili a Dream Theater, Queensryche e Pink Floyd, l’essere stati in tour con nomi come W.A.S.P. e Heaven and Hell ha sicuramente inciso parecchio nel sound. Ne viene fuori una proposta abbastanza originale, che magari in alcuni frangenti, tra i nomi citati, potrebbe ricordare proprio i ‘Ryche.
Nove canzoni molto lunghe, tutte sopra i sei minuti, ispirate fin dal titolo a diversi tipi di sogni. Probabilmente gli arrangiamenti vanno di pari passo alle storie narrate e quindi diventano complessi come potrebbero esserlo delle esperienze oniriche. Ne sono un esempio i quasi dieci minuti di “The Dream of Revenge”, che alterna dei duri controtempi neoclassici stile Symphony X con delle partiture più riflessive, mettendo in bella mostra un grande assolo di chitarra.
“The Dream of You”, scelto non a caso come singolo, è il pezzo migliore, con variazioni tra le fasi melodiche (bello il ritornello) e gli intermezzi dettati da dei riff molto heavy.
Su questa complessità si coordinano anche tutti gli altri brani, citando le orchestrazioni di “The Dream of Past”, l’eroicità letteraria di “The Dream of Despair”, gli assoli notevoli di “The Dream of Unity” e quelli sparsi lungo gli undici minuti della conclusiva “The Dream od Dreams”.
Di certo questo tipo di prodotto sarà ancora una volta apprezzato più dagli amanti del metal in evoluzione (ma anche di tipo classico, volendo) che da quelli del prog puro. Quest’ultimi, anzi, fuggiranno solo a sentirli nominare ed è una presa di posizione abbastanza estrema, perché i sei bulgari (paroliere compreso) avrebbero qualcosa da far sentire un po’ a tutti.
Non potendo quindi muovere critiche dal punto di vista dell’approccio, dell’esecuzione e dell’impegno, bisogna comunque dire che le canzoni risultano eccessivamente lunghe. Se questo all’inizio poteva entusiasmare l’ascoltatore, man mano che si va avanti diventa sempre più dura arrivare alla fine del lavoro, preferendo ascoltarselo a piccole dosi e quindi goderselo (e comprenderlo) molto meglio. In futuro, un buon accorgimento potrebbe essere quello di diminuire il minutaggio e magari distribuire meglio le idee che così, invece, rischiano di essere impiegate solo in alcune fasi. Per il resto, la strada intrapresa sembra buona. Pare che i Domain of Dreams siano in tour e che stiano già lavorando al loro quarto album. Quindi ci risentiremo e ne potremo parlare meglio, su questo non vi sono dubbi.


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Michele Merenda

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