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DEAFENING OPERA Let silence fall RecordJet 2018 GER

Il gruppo proveniente da Monaco di Baviera arriva al terzo lavoro e trova finalmente una label che non costringa all’autoproduzione. Proposta stavolta più meditata ed elaborata rispetto al passato, soprattutto nelle tematiche, che guardano ad una riscoperta dell’interiorità attraverso tappe tortuose e alienanti. Si può dire che i sei bavaresi oggi suonino prog-metal, facendo andare di pari passo le liriche con i complessi passaggi musicali. Il lavoro riesce a tratti, portando a pensare che i nostri hanno comunque trovato finalmente la loro strada. I pezzi si assestano su una media di sette minuti e probabilmente undici composizioni risultano un po’ troppe per l’ascoltatore, facendo scaturire così qualche inevitabile sbadiglio. “Prologue” è la bella apertura dell’album, affidata al pianoforte, che cupamente fluisce nella strumentale “Deafening Oveture”; già qui si capisce che le tastiere di Gérald Marie svolgono un lavoro fondamentale, ma che la parte di attore principale è affidata soprattutto alla chitarra ritmica di Thomas Moser e a quella solista di Mofritz Kunkel. Il riferimento più evidente è da individuare nei Dream Theater, anche se viene sviluppata la parte meno rumorosa e quindi opportunamente personalizzata, in una produzione molto buona e potente. Su “Down the River” si sente quanto siano cresciuti questi tedeschi, anche e soprattutto in scaltrezza, componente che di certo non guasta; il basso di Christian Eckstein è sempre sulla breccia e nella ritmica man mano incalzante, tra furbi interventi solisti delle sei corde (per l’appunto!), il batterista Konrad Gonschorek non perde un colpo. Dal canto suo, il vocalist Adrian Daleore canta per buona parte dell’album come un James LaBrie assestato su toni medio-bassi, non rischiando quasi mai di strafare. Ci si basa molto sull’effetto che può fare da facile presa, come potrebbe dimostrare l’assolo di chitarra su “Amber Light”, anche se è poi con “The Tempest” che tutti i nuovi elementi vengono messi in bella mostra, sfruttando – tra controtempi vari – un modo di fare “piacione” che oltre ad essere stato sfruttato dagli stessi ‘Theater è diventato cavallo di battaglia di gruppi tipo gli svedesi Moonsafari. “Sweet Silence” e “Sundown” sono molto tirate, prendendo spunto dai Metallica del “Black album” (con una dose di orecchiabilità comunque maggiore), prima di arrivare alla ballad “As Night and Day Collide” che serve più che altro a rilassare il lungo ascolto. Sulla seguente “Man and Machine” si guarda con evidenza allo storico “Images and Words” (1992) e quando nel finale Daleore perde per un breve momento la compostezza per sfociare in un grugnito, viene da pensare che probabilmente ci sarebbero voluti più momenti come questo. “At the Edge” sarebbe un’altra (semi)ballad, caratterizzata da pianoforte e soprattutto dalla chitarra acustica, il cui assolo centrale sembrava avere le giuste premesse ma finisce troppo presto; di buon effetto comunque il finale. La conclusione dell’album è affidata ai dodici minuti e mezzo di “Plus ultra”, in cui Kunkel finalmente concretizza tutti i buoni spunti sentiti e mai completamente realizzati.
Questo terzo lavoro è tutto sommato onesto e – cosa più importante – denota un forte impegno nel voler superare i propri limiti, impegnandosi anche da un punto di vista letterario. Di sicuro piacerà ai neofiti, non soltanto in campo prog-metal. L’uso della melodia è chiaro, rivolto ad un determinato tipo di pubblico che si lasci catturare ed abbagliare. Ma contrariamente a quanto possano pensare certi “sapienti” seriosi, non per forza questo deve essere un fattore negativo. Una fetta di platea, quindi, è stata con ogni probabilità conquistata; se la strada continuerà ad essere questa e non ci si adagerà sulla sterile ripetizione dei soliti schemi, magari in futuro si potrebbe ascoltare qualcosa di davvero buono.



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Michele Merenda

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