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EL Electric leak autoprod. 2010 ITA

Una copertina quasi del tutto nera… un monicker anonimo e criptico… il titolo di un album che si identifica col monicker stesso… una musica strana (questa sì!), misteriosa, nervosa, spezzettata, tenebrosa, cameristica, jazz, fusion… Insomma: un album che sembra far di tutto per non attirare l’attenzione, specie da parte di chi si nutre solo di Prog convenzionale (mi si passi il termine) ma che in qualche modo può rappresentare una sfida affascinante tanto quanto le tre suite in cui si articola questo CD.
Parliamo innanzi tutto del gruppo, un quartetto di stanza a Bologna composto da Christian Ferlaino (sax), Alberto Fiori (piano, synth ed elettronica), Francesco Guerri (cello e oggetti vari) e Giovanni Falvo (batteria e percussioni). Come ci istruiscono dal loro sito internet, il gruppo nasce nel 2006 per sviluppare un’intersezione tra il linguaggio jazz ed improvvisativo da una parte e la musica elettronica ed elettroacustica dall’altra. Il risultato, dopo 4 anni di prove e sessions, è costituito appunto da queste tre composizioni, suddivise in vari movimenti, intitolate rispettivamente “T’bilisi – The bombing of the city”, “Chisinau – The pogrom” e “Buccaneer -No man’s land”. All’interno di esse il gruppo scivola disinvoltamente da accelerazioni fusion, falsamente rassicuranti, a improvvisazioni jazz, passando attraverso momenti più avanguardistici o anche, appunto, da tracce più vicine alla musica elettroacustica. E’ proprio questa apparente irriverenza per l’ascoltatore, sballottato tra episodi apparentemente più rilassanti e poi schiaffeggiato duramente con mattoni sullo stomaco duri da mandar giù, che riesce ad affascinare maggiormente di quest’album. Non basta un ascolto, ovviamente… non ne bastano tre e neanche quattro per riuscire ad orientarsi a dovere in questo dipanarsi di atmosfere avvincenti, che non consentono un qualsivoglia orientamento se non si è più che preparati psicologicamente a cogliere tutte le sfumature che i nostri ci propinano, oscillando tra parti improvvisate e momenti più orchestrati.
E’ veramente difficile descrivere questo album, sia per le mille sfaccettature in esso presenti, sia per le difficoltà (lo ammetto) che il sottoscritto trova nel descrivere adeguatamente i passaggi, le contaminazioni e le sperimentazioni che l’orecchio si trova a recepire, con più di un momento in cui l’ascolto si deve fare necessariamente più che attento, per non perdere le mezze tinte e le impercettibili gradazioni appena udibili. Ogni ascolto porta a un’esperienza diversa, un carico di emozioni differente da quello precedente; non so a quanti possa interessare un album del genere, specie nel mondo degli amanti del Prog, ma a chi è avvezzo a mettere in gioco le proprie capacità di ascoltatore, mi sento di poter affermare che quest’album può rappresentare una sfida piacevole ed intellettualmente interessante.


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Alberto Nucci

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