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ESTHEMA Apart from the rest Milas Music 2007 USA

Molte volte i sentieri musicali che portano da Oriente ad Occidente si sono intrecciati negli spartiti di numerosi gruppi ma di rado si arriva ad una compenetrazione così intima degli stessi. Non si tratta di rubare alcuni suoni ed alcune impressioni e di trasferirle idealmente da una parte all’altra del globo ma di far convivere tecniche e modi di pensare diversi in modo armonioso, come due piante innestate che danno frutti diversi ma che traggono nutrimento dalle stesse radici. Sin dalla sua nascita, nel 2006, questo gruppo di Boston si è proposto di mescolare la musica tradizionale dei Balcani e del vicino e medio Oriente con le forme musicali occidentali del Jazz e del Progressive Rock, intrecciando intimamente linguaggi appartenenti a culture diverse. I propositi artistici degli Esthema si concretizzano con questo esordio che mostra idee chiare ed un sound maturo e disinvolto che non lascia campo a tentennamenti, ingenuità o banalità. Tutti i fili di colori diversi e brillanti si intrecciano in modo perfetto a formare un tessuto prezioso che lascia intravedere un disegno globale bello e proporzionato.
Le sei tracce dell’album scorrono in modo agile, melodia su melodia, assolo dopo assolo, tenute assieme da arrangiamenti raffinati ma mai traboccanti. Del resto stiamo parlando di musicisti con esperienze solide alle spalle, a partire dal chitarrista Andrew Milas, autore di tutti i brani qui contenuti, che ha suonato per anni in gruppi di ispirazione diversa dedicandosi al contempo alla musica greca contemporanea e tradizionale. Quanto al violinista, Onur Dilisen, porta con sé la concretezza delle proprie origini turche oltre che una formazione presso il conservatorio di Boston. Tery Lemanis suona strumenti tradizionali, Oud e Bouzuki, che ha imparato a conoscere in Grecia, approfondendo anche la musica bizantina attraverso programmi di scambio universitari. Il batterista Carl Sorensen, che si è formato al Berklee College of Music di Boston, ed il bassista Jack Mason hanno lasciato il gruppo subito dopo la pubblicazione di questo CD che si giova di una trama ritmica duttile e dalle timbriche flessuose e felpate che oscilla costantemente fra jazz e folk. Tutti gli strumenti in realtà subiscono costantemente queste oscillazioni di genere ricordando in parte certe intuizioni del musicista libanese Rabih Abou-Khalil in una veste più ariosa e lineare. Il violino ad esempio a volte ha una connotazione classicheggiante, come nella romantica traccia di apertura, “Consequence”, mentre l’oud, che gioca con le stesse linee melodiche, ha un che di mediorientale. Il basso fornisce un tocco elettrico che dà una piacevole scossa al ritmo, sostenuto da una batteria gentile ma decisa. In un substrato simile a quello della traccia appena ascoltata vengono affiancati arpeggi, ritmi latini e suggestioni ispaniche suggerite da arpeggi simil-flamenco nella successiva “For whom? For me…” senza che accostamenti così diversi turbino l’armonia di un pezzo dalle colorazioni sfumate.
E’ proprio dal sapiente miscuglio di elementi diversi, lo ribadisco, che scaturisce il fascino di questo album oltre che dalla piacevole godibilità di insieme. Il sound si fa ancora più flessuoso e piacevole quando alla batteria viene preferito il djembe o il doumbek come in “Erimos”, lenta e sinuosa. Molto più particolareggiata dal punto di vista ritmico è la conclusiva “Apart from the Rest”, in cui il violino a tratti sembra seguire i sentieri della musica tradizionale araba. Quanto all’intento di mescolare folk, prog e jazz direi che lo considero raggiunto, fermo restando che la componente tradizionale è quella che maggiormente dona colore e sapore alla musica, mentre gli elementi jazz rendono il tutto molto flessibile e bilanciato mentre quelli accademici, molto diluiti nel contesto, aggiungono un tocco sofisticato ma assolutamente non pedante e altezzoso. Gruppo da tenere d’occhio quindi e da ascoltare a più riprese sia in modo disimpegnato che più approfondito per cogliere ogni sfumatura e che gira senza alcuna fatica nello stereo.



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Jessica Attene

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