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ERIC BAULE Revelations adrift autoprod. 2015 SPA

Sembra il nome di una persona, e in un certo senso è così, ma indica in realtà il moniker della band al completo anche se, guardando la line-up, intuiamo che il cantante e chitarrista Eric Baulenas ha di certo un ruolo non marginale in questa storia. Si tratta di un disco di esordio ma l'appena citato personaggio ha tutta una storia alle spalle con trascorsi in ambito Death Metal nei Moonloop, Viking-Folk-Metal con i Northland (per la precisione qui era in veste di ospite), Post-Metal negli Obsidian Kingdom e Prog Metal con gli ArboreA; insomma, il Metal, dove ti giri, c'entra sempre.
Questa volta però la proposta musicale è un pochino più sbilanciata verso il Prog melodico, anche se certi muri di chitarra, certe sfuriate sul doppio pedale che ogni tanto saltano fuori, certe atmosfere gotiche tradiscono un'esperienza musicale maturata in tutt'altro settore. Naturalmente la voce, piacevole devo dire, e la chitarra di Baulenas sono cruciali nell'economia generale dell'album anche se si apprezza la volontà di donare atmosfera a tracce che spesso assumono connotati meditativi se non addirittura romantici. Non vi sono virtuosismi esasperati e la chitarra interviene per dare corpo al sound con riff decisi, se serve, o con linee melodiche dai riflessi Floydiani in molti casi o anche con assoli assolutamente non invadenti. La batteria di Eric Rovira ed il basso di Dani Soto giocano più di potenza che di astuzia ed il loro supporto è robusto e squadrato. Restano da commentare le tastiere di Isam Alegre che purtroppo non riescono ad emergere a dovere, specie quando gli altri strumenti si infittiscono, e che stentano comunque ad apparire anche nei momenti più lirici fornendo per lo più tappeti abbastanza omogenei. Ne è un esempio “Redemption”, pezzo comunque interessante, in cui le tastiere si perdono in loop ripetitivi ed il più del lavoro lo fa una chitarra pulita e Gilmouriana che finisce sempre col catturare l'attenzione. Il brano fa forza inoltre sui cori che ne esaltano l'aspetto melodico. Stesso discorso per la lunga e centrale “Release from Duality”, undici minuti e mezzo, che vede l'alternarsi di momenti più ruvidi, con parti strumentali serrate e claustrofobiche e ampi passaggi a metà fra gli Arena ed i Pink Floyd, il tutto in assenza di tastiere davvero all'altezza della situazione.
Mi sento di dire che l'album scorre in modo abbastanza fluido quando le maglie sonore si allentano lasciando che le melodie si sviluppino in modo arioso e naturale e a volte si inceppa un po' quando la band tira fuori i muscoli, tendendo verso soluzioni più nervose che comunque non ne migliorano la dinamicità. Alcuni episodi come “Flying High” conservano invece un'anima in prevalenza dura con elementi doom, gotici e avvisaglie death, fatto questo che rende più evidente la doppia anima di questa band.
In sostanza credo che, pur mantenendo elementi metal, il gruppo avrebbe dovuto curare maggiormente alcuni dettagli, e parlo soprattutto dell'aspetto tastieristico che, sfruttato a dovere, potrebbe davvero fare la differenza in futuro. Per il momento vedo alti e bassi con pochi episodi che sono riusciti davvero a coinvolgermi e fasi che mi hanno un po' annoiato. Non stiamo parlando di novellini ed è chiaro che la stoffa c'è. Mi aspetto però una sartoria più ispirata che sappia stupirmi con confezioni più audaci. Vedremo.



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Jessica Attene

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