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THE EXPERIMENT NO. Q Right after the experiment no. Q Ænima Recordings 2016 ITA

Dicasi steampunk quel genere letterario fantascientifico che sfrutta gli schemi di una tecnologia anacronistica in un arco storico-temporale individuato spesso nel XIX secolo, più precisamente nella Londra del periodo “Vittoriano”. Un genere, si diceva, che si è affermato soprattutto negli eighties, in contrapposizione al cyberpunk: le macchine, infatti, qua vengono attivate dalla forza del vapore (“steam”). In questo quadro – a cui si deve inevitabilmente aggiungere il seminale (e guarda caso ottocentesco) “Frankenstein, il Prometeo moderno” di Mary Shelley –, il musicista e scenografo torinese Paolo Vallerga rinomina se stesso “Number Q” ed impersona lo scienziato che imprigiona le anime dei musicisti dentro un labirinto meccanico. Un’opera articolata in tre complesse fasi, cioè lungo tre album, il cui primo capitolo del 2014 si era rivelato per lunghi tratti ottimo, se non addirittura entusiasmante. Ma dopo aver fatto confluire l’energia vitale in un libro alchemico, nella seconda puntata il folle scienziato di metà ottocento è riuscito a creare la vita artificiale all’interno della macchina (ovviamente a vapore!) Q Device. Si tratta adesso di scollegare la macchina… e creare la vita alchemica al di fuori di essa.
Visto sotto questa ottica, il nuovo album dell’artista torinese – che anche stavolta chiama a sé tanti collaboratori –, andrebbe un po’ rivalutato. Sì, perché se non si tiene conto dell’opera complessiva, il secondo lavoro dello “Sperimentatore” non sarebbe affatto all’altezza del primo. Anzi, ci sarebbero dei passaggi, soprattutto nei brani iniziali, che qui appaiono volutamente ripetitivi, insistenti, fastidiosi e persino antipatici. Suoni scarni, assoli di chitarra che si rifanno alla tradizione metal scandinava, fortemente neoclassici, che non hanno per nulla quel sound trascinante con cui Andrea Palazzo ed Emanuel Victor facevano bella mostra della propria abilità nel fortunato esordio. Volendolo invece inquadrare come il tassello di passaggio di qualcosa di molto più ampio, allora occorre senza dubbio attendere la terza ed ultima parte. Ascoltando i tre lavori nella loro interezza, la composizione si rivelerà per ciò che realmente è, con le varie parti che faranno parte di un unicum.
Di sicuro, l’overture “The Gears Take Over” con tanto di flauto ad opera di Dino Eldrisio Pelissero faceva ben sperare, così come l’attacco a suon di Hammond di “Don’t Let Me Kill the No. Q”; quest’ultima, però, per entrare nella piega che ha assunto la storia, dopo un po’ comincia a fare il verso ai Therion meno sinfonici (forse anche in vista del fatto che alcuni di loro suonano sul lavoro in questione) e si passa così ad un metal tout-court con i passaggi “meccanici” di cui si parlava prima. Anche “The Overturned Dreamer” potrebbe essere interessante, con il suo fare alchemico e serpeggiante, ma la durezza della macchina fa sentire la sua voce; e poi arriva un assolo conclusivo tanto veloce quanto difficile, che però nulla aggiunge. “Welcome to the Garden” è il singolo scelto per l’occasione, che segna il distacco dal fortunato predecessore, presentando l’immagine di questo giardino maledetto che si rivela la sede della macchina infernale. Sarà nella seconda parte che l’album cambierà marcia e qualità, a partire dalla lenta, acustica e carezzevole “Close to the Sunrise”. “Dust I Am” sembrerebbe continuare a macinare sempre la stessa roba, ma dopo un po’ appare più vibrante e vitale. Segue “The Girl from the Dream”, sempre più Therion, che sarebbe potuta essere il vero singolo, con tanto di voce femminile e cori profondi. Interessante la multiforme “Another Life”, finalmente con assoli sia complessi che ispirati (peccato per le urla eccessive…), chiusura poi con “The Human Machine”, che presenta il riff portante dell’intero lavoro ed orchestrazioni che fanno variare i tempi di esecuzione, con la macchina che prende coscienza di sé e lo sbraita con irrefrenabile follia. Il pezzo si blocca di colpo, facendo intuire che la storia riprenderà esattamente da quel punto.
Lo si ribadisce: il primo capitolo era tutt’altra cosa, ma si parla di una trilogia che costituisce un’opera vera e propria. Si rimane quindi in attesa di sapere… come andrà a finire.


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Michele Merenda

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