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KEITH EMERSON Emerson plays Emerson EMI 2002 (Emersongs 2017) UK

Nel 2002 uscì questo lavoro solista da parte dell’indimenticabile Keith Emerson, che si impegnò ad eseguire prevalentemente da solo al pianoforte ventidue composizioni di diverso genere e che hanno avuto un ruolo più o meno importante nella sua carriera. A quindici anni di distanza, “Emerson plays Emerson” viene ristampato e cogliamo l’occasione per spendere qualche meritata parola per l’album in questione. Se il celebre tastierista britannico viene ricordato soprattutto per la musica sfavillante e maestosa creata con Greg Lake e Carl Palmer, non bisogna dimenticare che alla base si è formato attraverso la musica classica ed il pianoforte. D’altronde proprio con il più celebre trio della storia del prog ha mostrato le sue doti sia compositive che esecutive ed ha anche evidenziato la capacità di saltare con abilità da un genere ad un altro.
In “Emerson plays Emerson” recupera alcuni pezzi già suonati dal vivo o in studio con Lake e Palmer, vedi la frenetica “Creole dance”, di Alberto Ginastera, con cui è capace di tecnicismi straordinari, o il famosissimo boogie “Honky tonk train blues”, per l’occasione in un vecchio duetto con Oscar Peterson, o ancora “Close to home” in una versione dal vivo registrata nel 1992 e “Barrelhouse shakedown”. Il resto del lavoro comprende principalmente composizioni di cui è autore e che sono molto variegate ed è davvero un piacere ascoltare la fluidità e la leggerezza con cui si mostra Emerson. Si va, tanto per citarne alcune, dal romanticismo delicato di “Vagrant” a momenti malinconici come “Solitudinous”, “Prelude to Candice” (composto per il film “Murderock”) e “A blade of grass” (risalente al periodo di “Black Moon” e magicamente ispirato), dai ritmi cajun di “A cajun alley” al ripescaggio della sempreverde “Summertime” di Gershwin, ovviamente trattata ed adattata in modo personale e in compagnia di Mike Barsimanto alla batteria e di Jerry Watts al basso. Non mancano gioiellini più tipicamente classici (“Interlude”, “The dreamer”, “Nilu’s dream”), passaggi blues (“B&” blues”, con la sezione ritmica formata da Frank Scully e Rob Statham), un omaggio a Kevin Gilbert e altre finezze fino ad arrivare alla chicca finale rappresentata da un medley di tre brani registrati quando Keith aveva 14 anni!
Che dire? Forse “Emerson plays Emerson” non è l’album più rappresentativo di uno dei personaggi simbolo del progressive rock, eppure ci mostra un Emerson perfettamente a suo agio davanti ai suoi Steinway (e non poteva essere altrimenti) e che ci regala un’ora di ottima musica, come detto e descritto molto variegata, in cui emerge comunque il suo talento e che in più occasioni gli permette di cimentarsi in quei virtuosismi per cui è amato da molti.



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Peppe Di Spirito

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