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THE FIRE THEFT The fire theft Rykodisc 2003 USA

E’ con una certa curiosità che mi accosto all’opera prima di questa band, in realtà un’entità nata dallo scioglimento dei Sunny Day Real Estate, esponenti di primo piano della scena rock alternativa di Seattle nella seconda metà degli anni ’90 (ed alfieri della corrente battezzata emo-rock dagli etichettatori di professione). La band è un trio (voce/chitarra, basso, batteria) capeggiato dal cantante e songwriter Jeremy Enigk e con il bassista dei più celebri Foo Fighters nelle loro fila: date le premesse, come non stupirsi leggendo nelle riviste e sui siti specializzati paragoni con i Genesis del periodo Gabriel e con i primi Yes? (ebbene sì, il disco ha qualche annetto sulle spalle e questo mi ha permesso di curiosare sulla rete). Anche la presenza di una sezione d’archi è quantomeno insolita per una band germogliata sulle ceneri riarse del grunge, eppure anch’essa è parte integrante della tavolozza sonora dei Fire Theft.
La parola al lettore CD: dimenticate i paragoni, probabilmente una buona fetta della stampa mainstream anglofona possiede un’idea alquanto confusa di cosa sia stato il progressive negli anni ’70; ci troviamo in realtà di fronte ad un buon album di rock alternativo raffinato, con un’apprezzabile dose di melodia ed un pizzico di sperimentazione (molti brani sono costruiti con intro o code ambientali a base di synth, archi ed effetti chitarristici). Non che questa sia una critica, solamente per puntualizzare che di “odissee sinfoniche” (sic!) non v’è la benché minima traccia: la sola ricerca sonora presente è in direzione dei Radiohead di “The Bends” (non quelli elettronici e progressivi del post “Kid A”) e questo, unito alla costruzione un po’ obliqua dei brani, conduce i nostri ad un risultato accostabile agli inglesi Elbow, anche loro etichettati (o additati?) come novelli prog-rockers dalla stessa stampa.
Se dimentichiamo tutte le premesse, “The Fire Theft” è un album gradevole, un rock che dal punto di vista vocale e lirico gravita nella sfera dei losers, come da tradizione, ma dalla componente emotiva non esasperata ed una manciata di momenti coinvolgenti, come la trasognata “Oceans Apart” e la passionale “Heaven”.
Da considerare solo se le vostre preferenze musicali includono le band summenzionate!

 

Mauro Ranchicchio

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